Due storie “inedite” che mi dicono che Tiger tornerà.

Da pochi giorni girano voci, sempre più confermate, che Tiger stia ricominciando lentamente a praticare. 

Una notizia splendida, se pensiamo che l’incidente da lui stesso provocato, per effetto dell’eccesso di velocità (75 kmh in più del consentito in quel tratto di strada), è avvenuto il 23 febbraio scorso.

Non possiamo ancora sapere quale sarà il suo futuro, ma senza dubbio Tiger continuerà a provarci. 

Rassegnato ormai  ad una riabilitazione fisica permanente, dovrà trovare nuovamente il modo per compensare alle limitazioni articolari imposte dagli ultimi interventi chirurgici subiti dopo il maledetto incidente.

Nell’attesa di conoscere gli sviluppi ed una comunicazione ufficiale del “più grande di tutti i tempi” (almeno per il sottoscritto) volevo riportare due storie “quasi” inedite.

Appartengono ai coach che hanno caratterizzato maggiormente la carriera di Woods. 

Butch Harmon ha allenato Tiger dal 1993 al 2004 

Nel maggio del 1997, ero a Houston  per assistere ai playoff della NBA, e Tiger era a Dallas a giocare il Byron Nelson classic. Un mese prima aveva vinto il Masters con 12 colpi di distacco. 

Nell’intervallo, sono andato al bar e ho iniziato a guardare la sintesi della giornata di golf. Tiger aveva girato in 64-64 nelle prime due giornate, ma il sabato stava sbagliando diversi tee shot. Lasciando il peso molto arretrato con una forte azione delle mani attraverso l’impatto stava spedendo alcuni drivers a sinistra, cosa che Tiger odiava fare. L’ho chiamato dicendogli che vedevo qualcosa di strano nei suoi tee di partenza: “Prendimi una stanza a Dallas, ci andrò stasera. Domattina ti mostrerò quello che vedo.”

Tiger Woods e Butch Harmon

Tiger ha detto, “Dimmelo. Voglio saperlo ora.

“Ho insistito per mostrarglielo di persona, e alla fine ha accettato. Ci siamo incontrati dopo la colazione la mattina successiva e ha iniziato a lavorare in campo pratica. Dopo un po’ ha detto: “Grazie Butchie. Sono a posto. Grazie per essere venuto.”

Era tutto. Gli ho augurato buona fortuna, e lui ha detto :”Non preoccuparti, vincerò oggi.” E lo ha fatto. Ma quello che mi ha stupito è che, dal primo tee shot di quel giorno, non ha mai ripetuto l’errore del giorno prima. Si è impegnato al 100% sull’aspetto tecnico su cui abbiamo lavorato quella mattina, e ha tirato la palla magnificamente.

Ha dimostrato ancora una volta quello che avevo visto in precedenza: quando Tiger si fida di qualcosa, ci gioca subito, non importa la situazione. Sa che l’unico modo per capire che qualcosa funzioni realmente è giocando sotto pressione. Ha sempre voluto migliorarsi, e di conseguenza, ha cambiato posizioni, sensazioni, movimenti; cambiamenti dei quali mai nessuno è venuto a conoscenza, mentre stava vincendo tornei di golf. Questa, per me, è una delle cose che ha reso Tiger grande.

Hank Haney  ha allenato Tiger dal 2004 al 2010

Ho sempre pensato che Jack (Nicklaus n.d.a.) e Tiger fossero i due migliori giocatori sul green sotto pressione. Ma il putt imbucato alla 72ma buca dello U.S. Open a Torrey Pines nel 2008 per andare al playoff con Rocco Mediate pone Tiger un gradino più in alto. Stavo ascoltando i consigli dei medici quella settimana, e Tiger si sarebbe dovuto trovare in casa con la gamba appoggiata su una sedia , utilizzando le stampelle per andare in cucina.  Di certo non giocare a golf. (Frattura da stress nella tibia sinistra n.d.a.).

Tiger con Hank Haney

Pensate alla forza mentale necessaria non solo per aver imbucato alla 18 con tutta la posta in gioco, ma averlo fatto dopo aver camminato per tutta la settimana con un dolore costante e ore di trattamenti notturni. Keith Kleven, il suo trainer dell’epoca cercava solo di tenerlo in piedi. Non camminare o colpire le palle. Oltre al fatto che quel putt avrebbe significato altre 18 buche il giorno dopo…

A chi daremo più merito nell’eventualità del suo ritorno? Alla testa o al fisico?


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