Lo scrittore James Hillman sostiene che ciò che conta non è la realtà, ma il modo in cui ce la rappresentiamo.
Ora: mi domando in quale meraviglioso modo se la sia raccontata in tutti questi anni il 51enne pro neozelandese Steven Alker, la cui vita e la cui storia mi paiono così perfettamente romanzate da meritare non solo questo articolo banale, ma, più prima che presto, anche e soprattutto un accurato docufilm su Discovery+.
Or dunque, sintetizzando al massimo, le cose con Alker vanno così: pro dagli anni ’90, ha giocato in quasi tutti i circuiti del mondo (per dire: Pga Tour Australasia, European Tour, Challenge Tour, Canada Tour, Nationwide Tour, Pga Tour, Web.com Tour e Champions Tour NdR); appena compiuti i 50 anni nel 2021 è saltato sul carrozzone del Champions Tour e da allora ha fatturato nei soli tornei giocati oltre 3,5 milioni di dollari. Più di quando avesse mai guadagnato in un’intera carriera. Ma non solo: si è preso pure il gusto di vincere quattro volte sul circuito over fifty e, nel dubbio, di portarsi a casa un major, il Senior Pga Championship.
Che dire? Forse solo che non è mai troppo tardi.
O forse che in un mondo in cui tutto è diventato troppo rapido per essere realmente capito e apprezzato, è quasi invidiabile la lentezza con cui Alker ha costruito il suo successo. Una lentezza che negli anni, colpo dopo colpo e torneo dopo torneo, gli ha permesso di erigere nel suo cuore un posto speciale per il golf, un posto dove immergersi per fuggire dalla realtà. E alla fine la sua vita è diventata così diversa da tutte le altre da sembrare a noi, e forse anche a lui, un film degno di essere raccontato e ricordato.