Jeroen Coumou: il professore golfista

Ho conosciuto Jeroen Coumou a Torino durante l’Italian Open for Disabled. No, non abbiamo giocato assieme, ma eravamo allo stesso tavolo durante una cena, quelle belle tavolate internazionali (oltre a noi c’erano giocatori francesi e svizzeri) che rappresentano l’aspetto più arricchente, almeno per me, dei tornei Edga.

Jeroen è di Rotterdam. Ha il fisico possente dell’ex giocatore di rugby, ed un bel sorriso da gigante buono. È un insegnante di storia, in una scuola di South Rotterdam frequentata da ragazzi provenienti anche da situazioni familiari difficili.

“La mia preoccupazione principale è cercare di fare educare questi ragazzi dal punto di vista umano. Ciò che amo dell’insegnamento è vedere i progressi degli studenti, sapere di aver contribuito alla loro formazione. Quando i ragazzi mi fanno domande sulla mia protesi alla gamba, racconto del mio incidente in moto, ero un adolescente come loro quando successe. Spero che la mia esperienza possa aiutarli nel loro percorso di crescita”.

Com’è successo?

“Avevo appena conosciuto la mia prima ragazza e ci frequentavamo da tre settimane. Avevo compiuto 17 anni da due giorni. Presi la mia motocicletta, era una sera di gennaio. In una curva vidi i fari di un’auto in sorpasso venirmi addosso. Cercai di evitarla, ma inutilmente. La mia gamba sinistra rimase intrappolata tra la moto e l’auto, e a causa dell’urto fui sbalzato sul ciglio della strada a diversi metri di distanza. Le mie condizioni erano gravi, avevo perso molto sangue. In totale restai in ospedale per sette mesi, subendo 11 interventi chirurgici”.

Jeroen prosegue raccontando come i medici tentarono di salvargli prima il piede e poi la gamba, ma non ci fu nulla da fare: alla fine la gamba gli fu amputata sopra il ginocchio.

“Stavo ancora frequentando le scuole superiori. Naturalmente, l’incidente cambia completamente la tua prospettiva, ti costringe a pensare a cosa puoi fare e a cosa vuoi ottenere nella vita, perché molte possibilità non le hai più. Ci vuole molto tempo, soprattutto quando sei giovane, per accettare il fatto che hai una disabilità ed imparare ad affrontarla”.

“Quello che spesso succede alle persone che hanno subìto un trauma è nascondere il problema, nasconderlo agli altri, ma soprattutto a se stessi. Ecco, è come se ci si mettesse sopra un coperchio. Ma il coperchio non rimarrà mai per sempre, prima o poi volerà via.  A me è successo quando nacque la mia prima figlia, avevo 30 anni. Caddi in depressione e così cercai un aiuto psicologico, quello stesso aiuto che rifiutai a 17 anni, dopo l’incidente”.

Una delle terapie consigliate fu praticare uno sport. Fu così che Jeroen iniziò a giocare a golf, entrando presto in contatto con gli altri golfisti disabili olandesi.

“Giocare a golf con gli altri ragazzi disabili è stato di grande aiuto nel processo di accettazione della mia disabilità. Prima avevo difficoltà a rapportarmi con gli altri disabili, in particolare con chi aveva la mia stessa disabilità… andavo fuori di testa, non mi sentivo a mio agio, cercavo di allontanarmi subito.

“Ricordo la mia prima gara per golfisti disabili: un centinaio di concorrenti, il tutto all’insegna del divertimento e dell’amicizia… per me fu scoprire davvero un nuovo mondo. Il golf poi è uno sport meraviglioso perché puoi praticarlo anche con le persone normodotate, quindi, ottieni il meglio da entrambi gli ambienti”.

“Finalmente ho trovato la mia identità e non voglio più nascondermi. Se sei disabile è inevitabile che le persone ti guardano in un certo modo, spesso inconsapevolmente. Ci si deve abituare, Alcune fanno commenti, la maggior parte è molto educata e gentile, alcuni sono semplicemente scortesi, ma alla fine sono cose che ti rendono più forte”.

Cosa vuoi dire per salutare i lettori?

“Stare su un campo da golf è molto simile a vivere la vita. È quello che ho imparato da questo sport: sei responsabile delle tue azioni. Dico sempre a me stesso: ‘Un brutto tiro non fa una brutta buca e una brutta buca non fa una brutta partita a golf. E se lo fa, c’è sempre domani!’


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