Sono andato alla Ryder Cup (di nuovo!)
Premessa.
Non parlerò dei numeri (imponenti), delle polemiche (sterili e dannose), delle spaccature del Team USA (vere o presunte), della prestazione del Team Europe (commovente ed esaltante).
Voglio solo parlare della Ryder Cup.
La mia prima Ryder sul campo é stata quella del 2010, probabilmente quella dove il numero dei tifosi italiani presenti é diventato signifcativo, in virtù della presenza dei fratelli Molinari, quella volta scesi in campo nel Team guidato da Capitan Montgomerie.
Di tutte le emozioni ricordo ancora quella del primo ingresso, quando ebbi la netta sensazione di essere arrivato in un luogo a sè, avulso dal mondo esterno.
Sensazione che si é confermata negli anni: quando passi i cancelli atterri sul pianeta Ryder.
I fratelli Molinari sono il filo rosso che ci porta al Marco Simone Golf & Country Club, dove hanno vestito la divisa da vice-capitano, contribuendo, ora come allora, al successo del Team Europe.
I giorni che ho trascorso in mezzo al popolo della Ryder vanno ad arricchire la lunga serie dei ricordi, quelli belli, perché gli incontri che fai sono uno degli aspetti che apprezzo di più.
E’ anche indiscutibile il cambiamento che la manifestazione ha subito, e sta tuttora subendo, in questi anni sotto il punto di vista della spettacolarità, e non parlo solo del livello del gioco.
Questa foto testimonia il cambiamento del tee della buca 1 nell’arco di 20 anni (l’edizione 2002 fu disputata al The Belfry, NDR).
Oggi il Muro, introdotto a Parigi, é il luogo più amato dai tifosi.
Al Marco Simone ci sono salito per la premiazione, dove noi tifosi europei abbiamo dato una grandissima dimostrazione di sportività nel salutare il Team USA sconfitto che passava sotto le tribune (spero che i tifosi USA se lo ricordino tra due anni, nel caso…).
Ma non é solo la buca 1 che é cambiata nel tempo, come dimostra questa foto, che mette a confronto la buca 18 così come era nell’edizione del 1929, disputata al Moortown Golf Club, con quella del Marco Simone, dove nei giorni scorsi ho visto imbucare dei putts clamorosi.
Tra i putts clamorosi voglio ricordare quello di Justin Rose nel pomeriggio di venerdì, che ha garantito il pareggio alla coppia europea.
Secondo me, il giocatore britannico é stato il pilastro psicologico e morale del Team Europe, ma non solo.
Ha giocato i doppi in modo impeccabile ed ha lottato nel singolo con uno degli americani più in forma.
Ma, evidentemente, non sono l’unico a pensarlo, dato che proprio a lui é stato assegnato il Nicklaus-Jacklin Award, che viene attribuito al giocatore che meglio ha rappresentato lo spirito della Ryder Cup.
Ora la sfida si trasferisce negli USA, dove il Team Europe dovrà difendere la Coppa sul Bethpage Black Course, dove pare che siano già iniziati i lavori per abbassare sensibilmente il rough che, come abbiamo visto, é poco gradito ai giocatori a stelle e strisce.
Voci sempre più insistenti parlano di una conferma pressoché immediata di Luke Donald alla guida della squadra, in virtù del grande lavoro realizzato da lui e dal suo staff.
Non posso che essere d’accordo.
Ma io aspetto con impazienza la definitiva fine delle ostilità tra i Tours.
Perché sogno una edizione futura della Ryder Cup dove alla testa del Team Europe si possa trovare colui che, anche nella felicità per la vittoria, in questi giorni mi é mancato maledettamente.