Tirare il drive forte e in centro alla pista ti fa sentire un drago; giocare il colpo al green e inchiodare la palla in asta ricamando un fade ti fa salire tutta l’adrenalina che hai in corpo; imbucare un putt dalla lunga distanza avendo letto perfettamente pendenza e contropendenza ti dà una carica incredibile per giocare la buca successiva, ma le sensazioni più belle le regalano i colpi tirati con il Sand Iron, o come è più corretto chiamarlo, lo “Special Wedge”.
È l’unico bastone veramente indispensabile; talmente importante che tutti noi in sacca ne abbiamo almeno due. Se in sacca non hai il Driver, dal tee puoi tirare il legno 3 e comunque mettere la palla in pista ad una distanza ragionevole per un buon secondo colpo; se non hai il ferro 7, puoi impugnare il 6 un po’ più corto e colmare il buco, se non hai il Putter, puoi cavartela in qualche modo usando la lama di qualsiasi altro bastone. Se però in sacca manca il Sand Iron, la cosa si fa veramente complicata: un green mancato, una palla giocata dal bunker, o dal rough a pochi metri dal tuo bersaglio, senza uno Special Wedge può trasformarsi in una tragedia.
È lo strumento più versatile del nostro arsenale, quello che ci permette di creare una straordinaria varietà di colpi e di salvarci da situazioni e posizioni che altrimenti sarebbero ingiocabili; è anche il più difficile, considerando che da 70 metri in giù abbiamo solo quello e tutto diventa una questione di sensibilità, di “polpastrello”.
Il divertimento e la soddisfazione di tirare i colpi con il Sand Iron sono tali che troppo spesso lo uso a sproposito, tutte le volte che il buon senso e lo score suggerirebbero di giocare un colpo in maggiore sicurezza. Una vocina nella testa mi dice “Non cercare l’asta! Butta la palla in green, fai due putt e porta a casa il bogey”, ma puntualmente la metto a tacere e cerco il colpo spettacolare: vuoi mettere il brivido che ti provoca il lob giocato da dietro un bunker con tre metri di green a disposizione, la sensazione delle mani che partono e fanno scivolare la testa del bastone come una carezza, la bellezza del volo lento e della caduta smorzata di una palla che si ferma vicino all’asta, rispetto ad un colpetto buttato in mezzo al green, per la sicurezza dei due putt? E anche se nove volte su dieci l’esito delle mie fantasie si risolve in una “flappetta” che tossisce goffamente nel bunker davanti a me, o in una “lamata” che sibila 15 metri oltre il green mettendomi in una situazione peggiore rispetto a quella in cui mi trovavo, il solo fatto di aver immaginato quel colpo quasi impossibile e di averci provato mi fa amare incredibilmente questo sport. E so già che la prossima volta ci proverò di nuovo, perché la soddisfazione di riuscire a fare quel piccolo gioco di prestigio vale il rischio di un triplo bogey.
Bruce Crampton, un professionista australiano della generazione di Player e Nicklaus, una volta disse: “Il golf è un compromesso fra ciò che l’ego comanda, ciò che l’esperienza suggerisce, e ciò che i nervi concedono”. Quando hai fra le mani quel bastone con la faccia aperta e la lama stondata, questi parametri si sovvertono completamente, l’esperienza ti sussurra che i nervi non reggeranno, ma l’ego mette a tacere quella vocina perché provarci vale la pena, e riuscirci ti porta nell’Olimpo.
Quella con il Sand Iron è una relazione difficile, travagliata, fatta di momenti di amore e di odio, ma alla fine di ogni giro, anche quando viene rovinato dalle prodezze mancate, non posso fare altro che pensare “Sand Iron, I Lob You”.