Negli ultimi 30 anni la tecnologia ha rivoluzionato il gioco del golf in maniera sempre più incisiva: tutto è iniziato con la rivoluzione dei materiali, quando i primi metalwood nel giro di pochi anni hanno mandato in soffitta i legni in persimon carteggiati a mano e l’acciaio degli shaft ha ceduto il posto a leghe e composti che un tempo erano ad uso esclusivo dell’industria aerospaziale.
Poi è arrivato il disegno CAD che ha permesso di progettare le teste dei bastoni con una migliore distribuzione dei pesi e delle masse, consentendo di avere facce più grandi, angoli di lancio migliori e un margine di errore sempre più ridotto. Quello che due decenni fa era il loft di un ferro 7, oggi lo troviamo sul ferro 9; non esiste più il ferro 1, che suscitava un senso di ammirazione in chiunque lo vedesse estrarre da una sacca, semplicemente perché oggi si chiama ferro 3. La stessa cosa è avvenuta rispetto al gioco in campo: il paletto dei 150 metri da cui partivamo a contare i passi ha ceduto il posto al telemetro laser, e ormai anche questo sta diventando un pezzo di tecnologia desueta.
Da qualche anno è in atto una nuova rivoluzione, guidata dall’intelligenza artificiale che sta espandendo la sua influenza in ogni campo, e il campo da golf non fa eccezione. La serie Mavrik di Callaway è stata progettata utilizzando la I.A. per analizzare oltre 15.000 possibili architetture della faccia del bastone e arrivare ad un design praticamente perfetto; i sistemi di tracciamento come Trackman sono sempre più sofisticati e consentono di assemblare bastoni su misura per ogni giocatore: il club fitting che un tempo era esclusivamente riservato ai giocatori più forti, oggi è uno strumento utilizzato praticamente da ogni golfista che non sia un neofita; le applicazioni basate sul GPS sono ormai così precise che possono suggerire la strategia migliore da qualsiasi punto del campo, tenendo conto in tempo reale delle condizioni atmosferiche e climatiche.
Eppure, in questo straordinario progresso tecnologico, una parte fondamentale del gioco è ancora governata da un altro tipo di I.A.: l’Istinto Animale. Quando giochi un putt da 15, 18 metri e colpisci la palla con la forza giusta perché si fermi accanto alla buca, quando affondi i piedi nel bunker per sentire la consistenza della sabbia e capire come devi giocare quell’uscita, quando strappi un ciuffo d’erba per vedere come tira il vento e decidere in che modo compensarne l’intensità, tutto questo è il retaggio di centinaia di giri di campo e migliaia di colpi tirati, che ti lasciano nella testa e nelle mani un’esperienza che probabilmente mai nessun computer sarà in grado di riprodurre.
Il golf è sicuramente diventato più facile grazie alla tecnologia, ma per fortuna non ha perso nulla del fascino che esercita su di noi da quando lo abbiamo scoperto.