Brian Campbell, una vita da underdog

Di regola è così, ma nel golf non sempre chi la tira più lunga vince. Non è stato così, per esempio, domenica scorsa, quando il mondo del golf ha assistito a una delle vittorie più emozionanti e significative degli ultimi anni. Il Mexico Open at VidantaWorld non è un torneo di punta del PGA TOUR (erano presenti solo quattro tra i primi cinquanta giocatori nell’ordine di merito mondiale, per dire), ma è innegabile che una vittoria in un torneo del genere cambi la vita ad un golfista non di prima fascia.

Brian Campbell, 32 anni a brevissimo e pro da dieci, dieci anni di carriera in cui non aveva mai sollevato un trofeo, ha conquistato il Mexico Open in modo rocambolesco, dimostrando che nel golf non è sempre chi tira più lungo a vincere, e che a volte essere precisi ha un suo perché. E serve anche un pizzico di fortuna.

Precisione, non potenza: la lezione di Campbell

Il confronto con il suo avversario diretto, Aldrich Potgieter (un giocatore per il quale non è complicato prevedere un brillante futuro), è illuminante: la lunghezza media dal tee è stata di 293 iarde per il vincitore e 324 per il secondo classificato, il che significa un paio di bastoni comodi in più al green, ma con un’accuratezza dell’81% contro il 54% dell’avversario.

Ha detto Campbell in conferenza stampa:

È difficile avere qualcuno accanto a te che la tira 60 metri più lunga, ma l’unica cosa da fare è rimanere concentrato sul motivo per cui sei lì e fare il meglio che puoi.

(Che è uno dei quattro fattori della forza mentale secondo Rob Bell.)

Il ruolo della fortuna

“The bounce of a career” – così il commentatore americano ha parlato del rimbalzo fortunoso del tee shot di Campbell alla seconda buca di spareggio, uno slice imperiale che 999 volte su mille sarebbe finito out, decretando di fatto la fine del torneo; mentre invece una provvidenziale scimmietta ha rimesso la palla in gioco. Ma la forza mentale di un giocatore consiste anche nell’approfittare dei buoni colpi della sorte quando accadono, e da lì ripartire come nulla fosse. Case in point: il suono cristallino del legno 3 tirato col secondo che ne è seguito.

E le emozioni

Già, le emozioni che sono sempre con noi. Ne ricordo due:

  • la fidanzata che si inginocchia e piange di gioia non appena Campbell imbuca il putt finale;
  • Potgieter che pur sconfitto lo abbraccia e per sovrammercato gli batte la mano sul petto.

Dieci anni di attesa, una vittoria che cambia la vita

Con questa vittoria in Messico, Campbell:

  • ha ottenuto 500 punti per la FedExCup;
  • ha guadagnato 1.260.000 dollari;
  • ha ottenuto il diritto a prendere parte al THE PLAYERS Championship, al Masters, al PGA Championship (tutti tornei che giocherà per la prima volta), ai cinque Signature Events rimanenti e al The Sentry del prossimo anno;
  • mantiene la carta fino alla fine del 2027;
  • ha fatto per la prima volta l’ingresso nelle prime cento posizioni dell’ordine di merito mondiale.

Ma il punto, sembra dire Campbell stesso, non sono i benefici, quanto piuttosto la strada che lo ha portato lì. E questo lo ricorda magistralmente Ben Hogan:

Io non ho giocato quel colpo allora – in quel tardo pomeriggio a Merion. Mi sono esercitato su quel colpo da quando avevo 12 anni. In fondo, nel golf agonistico l’idea cardine è di ottenere il controllo di uno swing che sia tanto più efficace quanta maggiore è la pressione cui è soggetto.

Una lezione per tutti

La storia di Brian Campbell è una lezione per chiunque ami lo sport e la vita. Dieci anni di attesa, momenti di dubbio, e infine il trionfo, grazie alla precisione, alla perseveranza e alla buona sorte. Nel golf, come nella vita, non è sempre chi tira più lungo a vincere, ma chi sa tirare più dritto. E Campbell, domenica scorsa, ha dimostrato di saperlo fare meglio di chiunque altro.

Lezioni per noi? Almeno un paio:

  • occorre allenare il gioco corto;
  • occorre allenare i legni da terra.

E rimanere fedeli a se stessi e al proprio piano di gioco. No matter what.


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