Nell’immaginario comune, il golf è un gioco rilassante, praticato in un contesto sereno, scandito dai ritmi placidi di una passeggiata nel verde. Questo almeno è ciò che pensa chi non ha mai praticato questo sport, ma chi calpesta con regolarità fairway e green sa che le cose non stanno così: poche cose al mondo riescono a farti incartare come il golf.
Ogni tanto capita di vedere i migliori giocatori del Tour lasciarsi andare ad un blando gesto di stizza: tuttavia sono generalmente più espressioni di disappunto che veri e propri scatti d’ira; i professionisti sanno dominare l’istinto di distruzione che ti prende quando il sangue sale al cervello per un colpo sbagliato, in parte perché sono consapevoli dell’effetto deleterio che la rabbia ha sul gioco, in parte perché rischiano di incorrere in multe a cinque zeri.
Fra le incartature più eclatanti immortalate dalle telecamere restano indimenticabili episodi come il ferro 3 lanciato in centro lago da Rory McIlroy alla 18 del Doral di Miami durante il WGC Cadillac del 2015, o Ben Crenshaw che nel singolo contro Eamon Darcy alla Ryder Cup giocata a Muirfield nel 1987 spezzò il putter alla 6 e, costretto a finire il giro puttando con la lama del sand iron, perse il match e contribuì alla prima vittoria europea su suolo americano. Ad ogni modo, questi rimangono episodi sporadici, e i veri professionisti dello show, in questo caso, sono i giocatori dilettanti.
Al di là delle imprecazioni che coprono uno spettro che va dall’autoinsulto al coinvolgimento delle entità supreme, i gesti di stizza si distinguono in due macrocategorie: quelli verso l’attrezzatura, responsabile del nostro errore nell’esecuzione del colpo, e quelli contro il campo, che impegna tutte le sue risorse per umiliarci e affossare il nostro ego. Nel corso di tanti anni di golf ho visto succedere di tutto: chi ha lanciato tutta la sacca nel lago abbandonando il campo, per tornare poco dopo sul luogo del delitto, entrare in acqua fino alla vita, recuperare le chiavi della macchina dalla sacca e poi ributtarla nel lago; ho visto spezzare in due un driver per poi accanirsi sui monconi di shaft con la lama del sand iron fino a ridurlo in tanti piccoli pezzi, gettare tutto nella spazzatura e stritolare il cestino come se fosse una lattina di coca-cola; ho visto infierire su alberelli e virgulti strappati alla vita da un ferro 7 brandito come un’ascia da boscaiolo.
“Il golf è il modo migliore per rovinare una bella passeggiata”
(Mark Twain)
Io stesso in giovane età, incartato nero per un colpo sbagliato, ho spezzato un certo numero di bastoni, ma con il tempo ho imparato a dominare questo istinto (anche perché oggi cambiare uno shaft è molto più costoso rispetto a quando giocavamo con le canne in acciaio) e ad accettare il mio errore, lasciandolo andare il prima possibile. Non è facile trovare questo stato mentale, per due ragioni fondamentali: la prima è che non puoi addossare la responsabilità a nessuno se non a te stesso, la seconda è che, rispetto a tutti gli altri sport, hai troppo tempo per pensare al tuo errore: un po’ di incartatura va bene, può essere uno stimolo per far girare le cose nel modo giusto, ma devi dimenticare tutto prima del colpo successivo, o la giornata sul campo non potrà fare altro che peggiorare.
Ancora oggi quando giochiamo fra amici ci lasciamo andare, di tanto in tanto, ad un gesto di stizza teatrale, ma con una consapevolezza molto diversa: è fatto per ridere, per sottolineare l’ilarità della situazione e farci prendere in giro, e non permettiamo in nessun modo che una flappetta da bordo green, uno shank, o una “lamata” ci rovinino il giro di golf, lasciandoci incartati per il resto della giornata.