Quando parliamo di inclusione nello sport, spesso la associamo a progetti speciali, giornate dedicate o squadre “particolari”. Ma l’inclusione vera, quella che trasforma la cultura sportiva e sociale, è qualcosa di molto più profondo, quotidiano e silenzioso.
È importante chiarire fin da subito una distinzione fondamentale: inclusione non è sinonimo di integrazione.
L’integrazione presuppone che una persona “diversa” – per caratteristiche fisiche, cognitive, culturali o sociali – debba adattarsi a un contesto già definito, che resta immutato. È l’idea di un sistema che accoglie, ma spesso pone delle condizioni, delle eccezioni o dei limiti. Si parla di “inserire” qualcuno in un gruppo già formato, senza mettere realmente in discussione le strutture, le dinamiche o i valori di quel gruppo.
L‘inclusione, invece, va molto oltre. Significa costruire un ambiente capace di adattarsi alle caratteristiche di ognuno, dove nessuno deve conformarsi per essere accettato. In un contesto inclusivo, la diversità non è tollerata, è valorizzata. Non si tratta solo di far entrare qualcuno in uno spazio, ma di trasformare quello spazio affinché tutti possano sentirsi parte attiva e riconosciuta della comunità.
E qui entra in gioco uno sport in particolare: il golf
Il golf, infatti, è profondamente inclusivo grazie alla sua adattabilità a diverse condizioni fisiche, età e generi. Ogni persona può trovare il proprio modo di giocare, il proprio ritmo, il proprio percorso, supportata anche da strumentazioni come i simulatori, che donano nuove possibilità di accesso e apprendimento.
Un esempio virtuoso arriva dal CUS Parma Golf, dove l’inclusione non è un evento, ma una pratica costante. Qui non esistono etichette, ma persone. Non “ragazzi con autismo”, “con ADHD” o “con disabilità”, ma semplicemente ragazzi con nomi e cognomi. Ragazzi che si allenano, che sbagliano, che imparano, che crescono insieme. Fianco a fianco.
Nel loro club dei giovani, che si sviluppa sia outdoor che indoor, nei mesi invernali, i bambini e gli adolescenti si allenano insieme, senza distinzione. Si ritrovano sul campo, fianco a fianco, per condividere un colpo ben riuscito, per sostenersi dopo un errore, per imparare che lo sport non è mai “per qualcuno”, ma “con qualcuno”.
Chi li osserva da fuori potrebbe non notare nulla di “straordinario”. E forse è proprio questo il punto. Perché la vera inclusione non si vede: si sente. È nel modo in cui si aspettano, si incoraggiano, si aiutano. Nel rispetto dei tempi dell’altro, nella naturalezza con cui si condividono gli spazi, le emozioni, i silenzi.
È questo il cuore dell’inclusione: normalizzare la diversità, renderla parte naturale della quotidianità. Al CUS Parma Golf, il focus non è sulla diagnosi ma sulla persona, sulle sue potenzialità, sulla possibilità di costruire relazioni autentiche attraverso un linguaggio universale come quello dello sport.
In questo ambiente, i ragazzi imparano a conoscersi davvero e a capire che la differenza non è un ostacolo ma una ricchezza. Non serve un progetto speciale per insegnare l’empatia, se la si vive ogni giorno sul campo.
L’inclusione non è un progetto, è una cultura. È una lente attraverso cui guardare il mondo, le persone, le relazioni. Una cultura che si costruisce attraverso l’esempio, la coerenza, la presenza. E in questo, il golf ha un potere enorme.
L’esperienza del CUS Parma Golf ci ricorda che l’inclusione non si organizza: si vive. E che il golf, con la sua calma, la sua concentrazione e la sua capacità di accogliere ogni ritmo, può diventare uno strumento potente di crescita e di incontro.
Forse, guardando questi ragazzi giocare insieme, senza categorie né pregiudizi, possiamo riscoprire il senso più autentico dello sport: quello di unire, non di distinguere.
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