Il golf non è più lo stesso.
Questo articolo nasce da un recente viaggio negli Stati Uniti. Ogni volta che vado lì, rimango colpito da come si vive il golf. Non solo giocato: VISSUTO.
Round da 3 ore e mezza massimo, musica nei cart, birre, gente che ride anche dopo un doppio bogey, e soprattutto… tantissimi giovani.
Ragazzi e ragazze ventenni, persino famiglie con bambini piccoli che arrivano al tramonto solo per tirare due colpi e fare aperitivo con vista fairway.
Il golf, lì, è comunità. È socialità, musica, luce, condivisione. Non segregazione dentro un circolo dove si entra solo con la cravatta giusta o l’amico giusto. È inclusione, non esclusione.
E da questa sensazione di leggerezza, ma anche di visione, nasce la mia riflessione: il golf è cambiato. Profondamente. E chi non se ne è accorto, probabilmente non ha aperto YouTube negli ultimi due anni.
I numeri non mentono: boom generazionale e tecnologico
Nel 2024, negli Stati Uniti si sono giocati 545 milioni di round di golf, il numero più alto mai registrato da quando esistono statistiche affidabili. Per dare un’idea, significa 1,5 milioni di round al giorno, tutti i giorni dell’anno, e una crescita di circa +3% rispetto al 2023, che a sua volta era già un record con 531 milioni di round.
Un dato impressionante, soprattutto se si considera che il boom non è un’eccezione americana: il golf cresce in quasi tutto il mondo con un ritmo medio del +5,6% annuo. C’è una fame nuova di golf. E la cosa sorprendente è che arriva proprio da dove nessuno la aspettava.
Perché la vera rivoluzione non è nei numeri assoluti, ma nei volti. Chi sta prendendo in mano il ferro 7 nel 2025 non è il “solito sospetto”.
Negli ultimi tre anni, i golfisti junior, cioè i ragazzi tra 6 e 17 anni, sono aumentati del 36%. Un salto generazionale che non si vedeva dagli anni ‘90, quando Tiger aveva appena cambiato il modo di intendere il gioco.
E non finisce lì: la fascia più in crescita tra i nuovi iscritti ai club e ai campi pubblici è quella dei 25-39 anni. Cioè la generazione che, fino a ieri, diceva “non ho tempo per il golf”. Oggi invece prenota tee time via app, gioca 9 buche in pausa pranzo e magari posta la foto del drive con la musica nelle cuffie.
E no, non è una perdita di valori, anzi, è un ritorno alle radici. Perché il golf non è nato per essere esclusivo, ma per essere inclusivo.
Per camminare insieme, discutere un colpo, ridere di un errore, cercare la pallina di un amico tra gli alberi.
Dalla TV ai creator: la rivoluzione non sarà trasmessa (ma streammata)
Un tempo il golf in TV era come la lirica: bellissimo, elegante, ma serviva dedizione. Telecronache sussurrate, silenzi più lunghi di un par 5, e quell’atmosfera sospesa che faceva sembrare ogni colpo un atto sacro. Poi è arrivato YouTube, e qualcuno ha pensato: “e se il golf fosse anche divertente?”.
Da lì, il linguaggio è cambiato per sempre. Oggi basta aprire Good Good Golf (diventati anche sponsor di torneo PGA), Bryan Bros Golf o Bob Does Sports per capire che non stiamo più parlando dello stesso sport. Questi canali non sono un fenomeno di nicchia: fanno milioni di visualizzazioni a settimana, con un pubblico che ha età media di 33 anni e oltre l’80% sotto i 45 .
Ma il dato da ricordare non è solo quantitativo: è qualitativo. Il golf su YouTube è diventato spettacolo e autenticità. Niente grafica 4K o droni da 10 mila dollari: solo amici che giocano, si sfidano, ridono dei propri errori, e fanno vivere il golf come una giornata tra compagni di squadra più che come un rituale da club house. È la versione 3.0 del golf: quella che suda, ride, sbaglia e funziona.
E il pubblico li adora, perché in un mondo dove tutto è filtrato, il golf dei creator è l’ultima frontiera dell’onestà sportiva. Ti mostrano il top, il push, lo shank. Non cercano la perfezione, ma la connessione. E questo ha ribaltato il modo in cui si racconta il golf: da “sport tecnico per pochi” a “gioco di emozioni per tutti”.
Il Washington Post lo ha sintetizzato alla perfezione: “Il futuro del golf? Sta succedendo su YouTube.” E non è una provocazione, è una diagnosi culturale. Le generazioni più giovani non vogliono solo guardare il golf: vogliono parteciparvi, anche solo virtualmente, condividendo un video o una risata.
Il business non dorme (e sa usare TikTok)
Dove va il pubblico, arrivano i soldi. Sempre. Il mercato globale dell’attrezzatura da golf vale 25 miliardi di dollari nel 2024, e salirà a 32 miliardi entro il 2028. I bastoni da soli generano 4 miliardi, ma la vera crescita è altrove: esperienze, app, simulatori indoor, membership flessibili. Il nuovo golfista non vuole “appartenere” a un club: vuole vivere il golf, provarlo, condividerlo, taggarlo. E i brand si sono adattati.
TaylorMade, Callaway, Titleist non sono più solo produttori: sono media brand. Creano video, docu-series, short form. Callaway ha un proprio studio di contenuti. E quando Rickie Fowler appare in un video con Bob Does Sports, l’impatto è più forte di qualsiasi campagna TV. Il golf è diventato un’economia dell’attenzione e chi la conquista, vince la partita.
Dati, algoritmi e numeri da capogiro
Nel 2025 si misura tutto, anche la passione. Ecco alcuni dati fondamentali per capire come il golf sta incrementando la sua popolarità:
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Ore medie viste alla settimana: +46% nel 2024 su piattaforme streaming come HBO Max, discovery+, ESPN+ e SkyGo/NOW
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Title Diversity Rate: il +30% gli utenti guardano più contenuti golfistici diversi (tornei, docu, creator)
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Cross-platform Engagement: cresce in doppia cifra anche la percentuale di chi passa da un highlight su TikTok a un torneo completo o a un simulatore reale.
Il golf è diventato data-driven. Chi lo segue è più fedele, più curioso, più coinvolto. È il contrario del “passatempo elitario”: è un ecosistema attivo, in continuo movimento. E forse è proprio questo il segreto del suo ritorno: nel mondo delle attenzioni effimere, il golf è uno dei pochi sport che ti insegna a ricominciare.
Il golf è lo sport della seconda occasione
Il golf, in fondo, è una metafora perfetta della vita moderna. Sbagli, ti arrabbi, ma hai sempre un altro colpo da giocare. È uno sport che ti insegna a perdere con dignità e a migliorare con pazienza. Forse è per questo che, nel 2025, in mezzo a un mondo che vive di “scroll” e gratificazioni istantanee, il golf è ancora qui ed e più vivo che mai. Non perché è diventato trendy, ma perché è diventato umano.
Dal fairway al feed, dal ferro 7 al like, dal silenzio dei green al rumore dei social: il golf non ha mai parlato a così tante persone. E, per una volta, non deve più chiedere permesso. Non è cambiato lui, siamo cambiati noi e finalmente, ci stiamo capendo.