Fari puntati su Sawgrass, in Florida, dove da giovedì torna in pompa magna, con ben 25 milioni di dollari di montepremi, il Tournament of Champions, più comodamente ribattezzato TPC.
Tutti i migliori giocatori del mondo, a esclusione di quelli targati LIV e di Tiger che ha deciso di riposare, saranno presenti all’appello e tra questi, grazie alla vittoria ottenuta nel The Open del 2018, c’è anche il nostro Chiccuzzo Molinari, che torna su un campo che ne esalta le qualità tecniche e che infatti in passato lo ha reso protagonista.
Parliamo dunque del percorso, dello Stadium Course, che – inutile girarci intorno – è la vera star della settimana: frutto del genio di Pete Dye e di sua moglie Alice, il tracciato è stato inaugurato in qualità di sede del torneo nell’ormai lontano 1982: all’epoca le critiche dei giocatori nei confronti del campo furono feroci, con Ben Crenshaw che lo descrisse come “un Guerre Stellari disegnato però da Darth Fener”, e con Jack Nicklaus, che invece, discutendo dei green ondulati e piccoli di Sawgrass, si lasciò andare a un “non sono capace di far atterrare un ferro 5 sul tetto di un’auto”. Ma è proprio tutto qui il genio dei coniugi Dye, che sono stati capaci di disegnare un percorso talmente avanti con i tempi, da risultare ancora oggi, 41 anni dopo il battesimo di fuoco, un test assai arduo anche per i giocatori contemporanei, i quali, nel frattempo, dal 1982 a oggi, hanno guadagnato oltre 40 metri di lunghezza media col driver.
Eppure, nonostante tutto e nonostante tutte le migliorie che la la tecnologia ha saputo portare all’attrezzatura e al gioco del golf in generale, lo Stadium Course, e in particolar modo il suo trittico finale delle buche dalla 16 alla 18, è ancora oggi un incubo per la maggior parte dei campioni del PGA Tour.
Qualche statistica? Eccovele servite: nel 2022 il par 4 della buca 18 ha avuto una media score nel torneo di 4,53 colpi, risultando più difficile persino dell’odiosa buca 11 dell’Augusta National. E ancora: quando a Sawgrass si mancano i fairway, che generalmente sono stretti come un corridoio di casa, i giocatori sanno già dal tee che avranno sullo score una media di 0,76 colpi in più rispetto al par. Non vi basta? E allora sentite qua: lo Stadium Course dal rough è il quarto campo più difficile del circuito americano, ma non solo, perché se dall’erba più alta, come è abbastanza usuale, si manca il green con il secondo colpo, allora solo il 53% delle volte si riuscirà a salvare il par.
In questo inferno colorato di verde, però, ci sono dei giocatori che tecnicamente si trovano, se non proprio a loro agio, comunque abbastanza comodi: sono soprattutto Rory McIlroy, Justin Thomas, Adam Scott e Sergio Garcia, i quali vantano incredibilmente delle statistiche assai positive al TPC. Ora: escludendo lo spagnolo che non sarà della partita perché impegnato sul LIV, un occhio di riguardo dunque lo meritano i campioni testé citati; al contrario, Jon Rahm, numero 1 del mondo, non sembra amare particolarmente il tracciato dei coniugi Dye, tanto che nel weekend ha una modesta media score di 72 colpi nel moving day e addirittura di 74 nella domenica. Come lo spagnolo, anche Jordan Spieth non ha mai brillato al TPC, un torneo al quale ha preso parte 8 volte, ma ha mancato il cut di metà gara in ben 5 occasioni.
Che dire allora? Solamente questo: che Mr. Pete Dye era solito ripetere che il campo doveva permettere a chiunque di poter vincere, a patto di giocare il suo miglior golf. Forse allora è per questo che i campioni che hanno vinto qui più di una volta si contano sulle dita di una mano.