Un paese di golf, non di golfisti

Calato il sipario sulla strepitosa Ryder Cup del Marco Simone e accertato il successo della manifestazione, è d’uopo iniziare a stendere qualche considerazione su quello che sarebbe intelligente aspettarsi da questa abbuffata di golf in Italia.

Inizio subito dalle note dolenti: non credo che l’Italia sia un paese per golfisti. O meglio: non ci credo più; lo speravo semmai qualche anno fa, quando ero ancora giovane, ottimista e ingenua.

Oggi, con qualche ruga e molta esperienza di vita in più, sono convinta che noi italiani non siamo fatti per il golf.

È DNA, ragazzi: siamo tifosi, non sportivi. Sono due cose diverse. Tifiamo la nazionale di qualsiasi disciplina, dal curling alla vela, tifiamo le nostre squadre, ma non siamo degli sportivi. Neppure nell’animo. E per diventare o essere dei golfisti, bisogna innanzi tutto capire quel senso più profondo dello sport che manca totalmente dalle nostre parti.

Come può un paese che in ogni dove cerca le scorciatoie, disprezza le regole, allontana gli onesti e vive perennemente sulla corsia di emergenza, amare e capire una disciplina nella quale ognuno è arbitro di se stesso? Come può un paese così, eternamente diviso tra guelfi e ghibellini, amare uno sport dove non c’è tifo, ma solo rispetto per il gioco e pure per l’avversario?

Ecco. Quindi, dal mio personalissimo punto di vista, dal post-Ryder Cup non mi aspetto un balzo clamoroso di tesserati e di nuovi appassionati. Nossignore. Mi aspetto qualcos’altro che però non è meno importante. Anzi.

Mi aspetto che l’Italia diventi un paese di golf, non di golfisti. Tradotto: mi aspetto che diventi sempre più una destinazione turistica legata al green. Mi aspetto che le favolose immagini che dal Marco Simone hanno invaso le televisioni di centinaia e centinaia di milioni di golfisti sparsi nel mondo abbiano fatto scoprire a tutti che il Bel Paese è anche una straordinaria golf destination.

Per dire:  prima della settimana all’ombra del Colosseo, molti dei giornalisti statunitensi accreditati alla Ryder né sapevano, nè immaginavano che lo Stivale è un paese ricco di percorsi strepitosi a 18 buche. Ora, se non lo sapevano loro, che sono i cosiddetti sapientoni delle cose del green, figuriamoci i loro lettori.

Quindi sì, dal post-Ryder Cup mi aspetto un gancio favoloso per il futuro del nostro turismo golfistico, ma starà a noi saperlo intercettare: abbiamo ricevuto gli ingredienti per apparecchiare un menù perfetto, ma ora dobbiamo essere in grado di cucinarlo.


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