Certo è che la stagione golfistica europea e statunitense non poteva chiudersi meglio per noi del Vecchio Continente: non so se ve ne siete resi conto, ma da fine agosto in poi abbiamo letteralmente stravinto tutto.
Ha iniziato Hovland con la FedeX, hanno continuato i team Europe con la Solheim e la Ryder Cup, e poi, come se non bastasse già questo bottino, ci hanno pensato i nostri giovani a dare un’ulteriore spallata all’estabilishment americano, con Nicolai Hojgaard e Ludvid Aberg che domenica scorsa hanno conquistato rispettivamente il DP World Tour Championship a Dubai e l’RSM Classic, tappa finale del Pga Tour, in Georgia. Ah, e scusate se nel frattempo quel “vecchietto” di Rory McIlroy si è portato a casa la quinta Race to Dubai.
Ora: a questa lista di successi, aggiungiamoci anche che nella stagione americana 20222/2023 ben 18 titoli sono stati ad appannaggio di campioni europei, nonostante la loro presenza sul suolo statunitense sia di gran numero inferiore a quella dei giocatori di casa.
Un dominio? Beh… Non esageriamo, anche perché nel mentre, ad eccezione del Masters vinto da Jon Rahm, le altre tre corone del Grande Slam sono comodamente piazzate sulla testa di campioni a stelle e strisce come Harman, Joepka e Clark. E ricordiamoci pure che i top players del Pga Tour hanno tutti praticamente smesso di giocare appena usciti dal green della 72sima buca di Atlanta (e anche per questo motivo la coppa della Ryder non l’hanno neppure sfiorata con i polpastrelli).
Dunque non cantiamo vittoria troppo presto, o meglio, facciamolo adesso, ma ben consapevoli che da gennaio 2024 si ricomincerà con le battaglie stellari e sarà certamente dura fare il bis di una stagione così vincente come quella appena conclusasi.
Però, perché c’è un però, è anche cosa buona e saggia per un momento riandare alla Ryder Cup disastrosa del 2021, quella disputata negli States, da cui noi europei siamo usciti con le ossa rotta e con previsioni funeree sul nostro futuro, con i leoni Westwood, Garcia e Poulter pronti a essere rottamati e (all’epoca) senza uno straccio di ricambio papabile in vista.
Ecco: riguardiamo quei giorni e poi volgiamo lo sguardo all’oggi, dove il futuro europeo è saldamente nelle mani di talenti spaventosi come Hovland, Aberg, Meronk, Rasmus e Nicolai Hojgaard. Se poi a questi nel 2024, che tra l’altro è pure anno olimpico, potremmo aggiungere anche un ragazzo italiano, beh, sarebbe davvero la ciliegina sulla torta.