Con la stagione europea ripresasi a bomba con i tre tornei disputati in Medio Oriente, e con quella americana che, dopo Torrey Pines e Pebble Beach, comincia a farsi incandescente con una serie di appuntamenti via, via sempre più “pesanti”, la strada verso il Masters inizia a delinearsi sempre più dettagliatamente.
Mancano ormai esattamente solo 56 giorni all’apertura dei cancelli di Magnolia Lane in quel di Augusta e in tal senso mi piacerebbe fare un piccolo gioco di previsione: stando ai risultati che abbiamo visto finora, chi tra i protagonisti indiscussi del palcoscenico mondiale potrebbe indossare la giacca verde 2022?
Rahm? McIlroy? Morikawa? DJ? A oggi, chi pare avere più chance di vittoria in Georgia? Leggendo i numeri più recenti, azzardo un pronostico:
confrontando le statistiche degli Strokes Gained della passata stagione americana con quelle di oggi, le cifre di Rory McIlory indicano tutte un netto miglioramento. Un segnale, questo, che sta a significare che il lavoro tecnico svolto da inizio 2021 con Pete Cowan e Mike Bannon ha davvero iniziato a funzionare nella giusta direzione.
E si sa, nessuno al mondo ha più talento e “facilità” di Rory quando fa Rory. Resta il dubbio della tenuta mentale, se così ci si può permettere di dire di un campionissimo che intanto è risalito al numero 6 del World Ranking dal 15simo posto dove era precipitato l’anno scorso (per la prima volta fuori dai top 10 da anni NdR): il brutto ultimo giro del DP World Championship e la 72sima buca del recente torneo di Dubai qualche dubbio in effetti me lo lasciano.
Ma al contempo, le lacrime post Ryder Cup e la maglietta stracciata di fine novembre hanno fatto scoprire una versione di McIlroy ultimamente rimasta parecchio nascosta: quella ambiziosa, vogliosa e desiderosa che, complici i contratti milionari, il matrimonio e la paternità, pareva essersi sbiadita negli ultimi anni.
Certo, su McIlroy gravano le parole sussurratemi all’orecchio qualche anno fa da Chubby Chandler, il suo talent scout e primissimo mentore: “Ricordati Isabella, Rory non è un combattente”, ma, se posso immaginare l’acredine del manager per essere stato scaricato, al contempo non posso credere che un campione capace di arrivare al numero 1 del mondo non sia un guerriero pronto a soffrire.
Ovvio: magari rispetto al nord irlandese Rahm ha più fame e cattiveria, magari Morikawa ha più tranquillità, magari DJ è più cool, ma Rory, beh, Rory ha una missione da compiere: concludere il Grande Slam della carriera. E se c’è una cosa che l’esperienza mi ha insegnato è quella di guardarmi sempre da un uomo con una missione in testa. E tutto sommato, la stessa esperienza mi suggerisce di guardarmi anche da Jordan Spieth, che ad Augusta sta comodo come a casa sua e che, più di tutti gli altri, ha ricominciato a divertirsi come un bambino sul campo da golf. Proprio quell’attitudine lì, guarda un po’, che adesso servirebbe a McIlroy: chissà che non la trovi strada facendo, magari lungo il viale di Magnolia Lane.