A poche ore dall’inizio dell’ultimo appuntamento della stagione 2025 del DP World Tour, il Tour Championship di Dubai, c’è parecchia “ciccia” golfistica di cui discutere.
Innanzi tutto: i record di Rory McIlroy. Il numero 2 del mondo è infatti a caccia del suo settimo titolo di campione della Race To Dubai, nonché del quarto consecutivo. Dovesse farcela domenica sera sul percorso del Jumeirah, Rory supererebbe Seve Ballesteros (fermo a sei corone) e, contemporaneamente si porterebbe a un solo titolo dal primato incredibile di Colin Montgomerie, che in passato è stato re dello European Tour per ben otto (!!) volte.
Poi… Sempre a Dubai, alla fine del torneo, si decideranno i dieci giocatori che, come Matteo Manassero lo scorso anno, strapperanno l’ambita carta 2026 per il Pga Tour. E qui che dire? Innanzi tutto che così facendo ogni anno il circuito del Vecchio Continente si svuota dei suoi migliori talenti, impoverendo di fatto i field della maggior parte dei suoi tornei (soprattutto quelli che mettono in palio “solo” 3500 punti della Race). Ma non solo: se andiamo a verificare i nomi dei giocatori che in questa stagione hanno trionfato nei sedici appuntamenti più prestigiosi del DP World Tour, vale a dire i tornei dello Slam e quelli da 5000 e 8000 punti, si noterà un aspetto importante: che in nessuno di questi casi il titolo è stato portato a casa da un campione di casa, ovvero da uno che stabilmente gioca nel circuito europeo. Con la sola eccezione di Tyrrell Hatton, in forza sul LIV, che ha dominato a inizio anno a Dubai, tutti gli altri appuntamenti “pesanti” sono stati appannaggio di giocatori che, pur essendo in molti casi chiari prodotti del Tour europeo, stazionano ormai da anni sul Pga Tour. Mi riferisco ovviamente a Rory, Fleetwood, McIntyre, Aaron Rai, Noren e via discorrendo. L’unica eccezione a parte Hatton? Marcus Penge, winner in Spagna, che ormai sta giustamente preparando le valige per gli States in cerca, non solo di assegni più ricchi, ma anche di scoprire il suo vero potenziale.
Nel mentre, a quei dieci pro del DP World Tour che prima di lui in questa stagione si sono buttati a capofitto sul circuito Pga non è andata benissimo e con ogni probabilità dal 2026 ne rivedremo una gran parte in Europa. Ma tutto questo quadro ci deve portare a una considerazione inevitabile: che il livello tecnico dei tornei di casa nostra, pur essendo alto, sta comunque scemando velocemente di fronte a un Tour americano che ogni anno si rinforza tremendamente non solo con i migliori dieci “europei”, ma anche e soprattutto con i top amateur delle Università locali e con tutti quei giovani bombardieri che arrivano carichi a molla dal tostissimo Korn Ferry Tour.
Perc contro, da noi in Europa, anche chi, come il nostro Gregorio De Leo, si guadagna alla grande la carta per il Tour maggiore, fa comunque e ingiustamente una fatica enorme a disputare un numero di tornei sufficienti a mantenere il proprio status, non riuscendo così né a fare punti, né a migliorare il proprio rendimento in campo, né a scoprire il proprio vero potenziale. E in questo modo che accade? Che il circuito del Vecchio Continente non permette ai propri nuovi talenti di emrgere e crescere. Ed è su questo ultimo aspetto (che mi pare dirimente) che bisognerà intervenire al più presto, se vogliamo che il Tour Europeo abbia a ogni stagione un ricco ricambio giovane, veloce e continuo come quello americano. Perché solo nel cambiamento esiste il progresso. O no?