In un mondo in cui le nostre orecchie sono sottoposte a loro insaputa per ventiquattro ore al giorno al costante rumore bianco, negli ultimi mesi Rory McIlroy è stato uno dei pochissimi tra noi esseri umani a desiderare e a cercare e, infine, a trovare quel silenzio cui nessuno pare aspirare più.
Ora: lunedì è stata proprio la sua capacità di scovare tra le orecchie l’assenza di rumore (insieme al suo talento infinito) a consentirgli di uscire vittorioso a Dubai da una guerra fondamentalmente mentale durata quasi una settimana intera contro Patrick Reed e il mondo del web.
Il chiacchiericcio di sottofondo a proposito del tee-gate tra Rory e Patrizione andato in scena mercoledì scorso al driving range di Dubai, poi ripreso e ribattuto da ogni account social, oltre ai continui rumors circa la guerra tra il LIV e i Tour a favore dei quali il numero 1 del World Ranking si è speso ovunque e sempre, avrebbero non solo messo una tonnellata di pressione sulle spalle persino di Superman, ma avrebbero anche distratto chiunque dall’andamento del torneo.
Tutti ma non McIlroy, che da mesi, se non da anni, ha fatto del suo digital detox una pratica quotidiana che sta iniziando a dare i ricchi frutti sperati.
“E’ stata una battaglia soprattutto psicologica – ha infatti raccontato immediatamente dopo la fine del torneo un soddisfatto Rory- e ho dovuto pulire le mie emozioni da tutto ciò che stava succedendo intorno a me. Proprio questa capacità mi ha regalato una vittoria dolcissima, forse anche più dolce di quello che normalmente avrebbe dovuto essere”.
In un mondo, quello di noi comuni esseri mortali, in cui la vita è diventata riempimento compulsivo di vuoti, vuoti che colmiamo anche e soprattutto col rumore continuo del sottofondo digitale, Rory McIlroy ha capito che per fare la differenza non era più sufficiente solo la sua classe: aveva bisogno di silenzio.
Lo ha cercato, e lo ha trovato, allontanandosi da tempo ormai da quei social che gli trasmettevano –così raccontava- solo energie negative: il suo vuoto, Rory, lo ha riempito di quella presenza, di quella consapevolezza e di quella lucidità che negli ultimi mesi, non a caso, gli sono tornate utilissime in campo.
I più realisti di noi sostengono che volere non significa potere: dicono che non sia sufficiente, perché spesso ciò che vogliamo, semplicemente non possiamo averlo e basta.
Rory però ha voluto mettere un punto nella sua vita privata, desiderando silenzio, e quel silenzio lo ha trovato spegnendo il cellulare.
In questo caso, volere è stato sì potere.
Da Dubai esce dunque un Rory ancora più consapevole dei propri mezzi e della bontà della strada che ha intrapreso mesi fa: le chiacchierate con Bob Rotella, il suo mental coach, e il minimalismo digitale che gli ha permesso di rimettere a fuoco la sua vita in un mondo pieno di distrazioni, saranno due pilastri su cui costruire le fondamenta della settimana per lui più importante del 2023. Ovviamente quella di Augusta: se anche in Georgia McIlroy riuscisse a far silenzio tra le orecchie, allora quest’anno la giacca verde potrebbe essere finalmente sua.