Il problema del gorilla

Con il Pga Tour che entra nella sua terza settimana di gare abbandonando le Hawaii per la California e con il DP World Tour che resta invece a Dubai per la prima, attesa Rolex Series di stagione, si può già iniziare a buttare giù qualche piccola considerazione golfistica in base a quanto abbiamo visto accadere in campo. Anche perché -diciamocelo- di cose interessanti, tra Dubai e le Hawaii, ne sono successe a iosa.

Partiamo dunque dagli Stati Uniti, dove a conquistare i primi due tornei sono stati Chris Kirk e Grayson Murray, entrambi con un passato da ex alcolisti sulle spalle, oggi risorti dalle ceneri della depressione grazie a un coraggioso cammino di terapia. E in un mondo dannatamente a corto di storie a lieto fine, le vicende dei due giocatori del Pga Tour rappresentano una minuscola boccata di ossigeno per tutti quelli che ogni giorno stanno lottando contro i propri personalissimi mostri: c’è speranza in fondo al tunnel, è il messaggio che risuona dalle Hawaii. Ma prima di sollevare una qualsiasi coppa al cielo, bisogna essere stati capaci, esattamente come Kirk e Murray, di passare dalla consapevolezza dell’avere un problema, per poi attraversare le fasi della rabbia, del dolore e infine del perdono di se stessi. Solo allora sarà il tempo della gioia e della riscoperta dell’intero arsenale del proprio potenziale. E sarà bellissimo.

Più prettamente golfistico è invece il secondo tema della settimana: il putt.

Passando da Dubai e sbarcando alle Hawaii, il refrain è stato lo stesso: negli Emirati Rory ha marcato tre putt da mezzo metro per perdere di un colpo da Fleetwood, Tommy ha imbucato da tre metri alla 72sima buca per vincere il torneo; dall’altra parte del mondo, a Honululu, Ben An ha mancato il putt da due metri per il birdie al play off del Sony Open e, a sua volta, Grayson Murray lo ha fulminato imbucando da undici metri per conquistare il titolo del Sony Open.

Ora… So che suona strano, ma la morale che se ne evince è che anche il golf mondiale dei pro parrebbe in qualche modo soffrire del cosiddetto “problema del gorilla”. Di che tratta questo problema? Del fatto che questi animali,  pur essendo molto più grossi di noi, alla fine se ne stanno rinchiusi negli zoo solo perché l’essere umano è più intelligente di loro. Tradotto golfisticamente, che  significa tutto questo? Significa che scagliare la palla forte e bene è importante, per carità, ma alla fine, gira che ti rigira, in un mondo di giovani bombardieri dal tee, il golf resta e resterà per sempre un gioco nel quale per vincere tocca essere sufficientemente freddi per imbucare i putt quando davvero contano. All faccia di quelli che hanno 320 yards di media dal tee.


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