La storia di Glover insegna tantissimo

Doris Lessing ripeteva che il destino altro non è che il temperamento di ciascuno di noi.

Non faccio fatica a credere che Lucas Glover, l’eroe di queste ultime due settimane estive del Pga Tour sia perfettamente d’accordo: finito nell’oltretomba dello yips sui green dal lontano 2013, per dieci lunghi anni ha combattuto i suoi demoni intorno alla buca riuscendo comunque sempre a mantenere la carta del circuito americano. Impresa che è già complicata di per sé, figuriamoci se ti tremano le mani (e il cuore) sui green. Eppure… eppure Lucas Glover ci è riuscito. Ma il meglio deve ancora venire: nelle ultime due settimane, senza più tremori intorno alla buca, l’americano 43enne ha vinto sia l’ultimo torneo della Regular Season, il Wyndham Championship, sia il primo dei tre play off della FedEx, il St. Jude Championship. Il tutto mentre manteneva stellari le sue statistiche da tee a green, così come ci aveva abituati sin dal suo successo nello US Open del 2009.

Ma al di là delle sue indiscutibili capacità da tee a green (per dire, Glover è primo nella proximity del Pga Tour dei colpi al green e secondo per precisione dalle 100 yard in giù), ciò che sconvolge sono i suoi numeri col putter in mano registrati negli ultimi due mesi: nonostante sia tuttora 160simo negli Strokes Gained Putting, a partire dal torneo del Rocket Mortgage, il tosto Lucas non è infatti mai uscito dai top 15 performer intorno alla buca. Il che, unito al 68% dei drive in fairway (a proposito, Glover è settimo per precisione dal tee) e alla proximity di cui sopra, ha decisamente contribuito a fare dell’americano il serial killer più imprendibile di quest’estate americana.

Ora, due indicazioni. La prima: non pensate che sarà facile fermarlo; se Glover ha tenuto la carta negli ultimi 10 anni pattando in quelle misere condizioni, significa che è un combattente nato. Significa che, al pari di Brian Harman, non è un giocatore che si lascia battere: lo devi andare a prendere. E in questa fine di agosto sarà interessante vedere dove la sua fame repressa e la sua attuale fiducia lo porteranno nel corso dei play off restanti.

E ora la seconda indicazione: se c’è una cosa che la sua storia ci può insegnare, è che qualsiasi battaglia si stia combattendo, bisogna sempre continuare a lottare, perché non si sa mai cosa e dove questa nostra personalissima guerra ci porterà. Magari al miglior golf della nostra vita.

 


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