Questo Rory lottatore può vincere la giacca verde

Dicono i saggi che alla fine il trionfo spetti solo a chi lo ha voluto maggiormente. Che, insomma, lo sport non sia altro che uno scontro di volontà.

Ecco. Nel corso degli anni, se una infinitesima qualità pare essere mancata nel gioco fatato di Rory McIlroy, è indubbio che questa sia stata quel goccio di caparbietà in più nel bel mezzo della lotta, nei momenti più duri e difficili del torneo. E invece a Pebble Beach, nella tormenta del terzo giro, tra venti che ululavano e pioggia orizzontale, si è avuta finalmente la sensazione che Rory abbia giocato con una risolutezza molto maggiore rispetto al passato: in quel round, in un frangente adatto solo a veri gladiatori, la sua attitudine si è trasformata in un’attitudine da conquistatore.

Risultato: a Pebble Beach abbiamo assistito a una metamorfosi lampante. Il campione che non amava soffrire in campo, ha abbracciato con tutto se stesso la durezza delle condizioni di gioco e per la prima volta le ha totalmente dominate.

Ma non solo: deviamo dal golf e parliamo invece per un secondo di buddismo zen. In questo campo, esiste una parola che più di altre descrive l’atteggiamento di McIlroy nel corso degli anni: “shoshin”.

Si tratta di un termine giapponese che indica uno stato d’animo di desiderio di imparare qualcosa di nuovo, nonostante una già vasta conoscenza.

Morale, a Pebble, Rory ha mostrato il suo “shoshin”: finalmente, ha saputo giocare nel vento (da sempre a lui nemico) con traiettorie basse e poco spin. Qualità tecniche che ha saputo imparare e che ha voluto conquistare nel tempo, grazie all’aver sempre mantenuto la sua mente sempre aperta e pronta ai cambiamenti.

Ora: questo è il McIlroy migliore, se possibile? Mentalmente e tecnicamente lo è. Finalmente. Dove può arrivare dipenderà solo da una cosa: da quanto a lungo ancora avrà la forza di rialzarsi e tentare, condizioni sine qua non per i trionfi più grandi.


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