Le leggende dello sport hanno questo in comune: la capacità di muovere i propri passi dentro il mondo dell’impossibile e di venirne fuori avendolo reso possibile. È una ricchezza immensa. E certamente non è quantificabile in un universo, il nostro di noi semplici esseri umani, che manco gattopardescamente riesce mai a cambiare qualcosa.
Inutile a dirsi, Tiger Woods fa parte della galassia dei super eroi, di quegli uomini eccezionali che possiedono quella rara forma mentis capace di abbracciare la sfida con la S maiuscola dalla quale tutti gli altri si allontanano mesti e guardinghi.
Bob Rotella, lo psicologo numero 1 nel mondo del golf, sostiene che i grandissimi atleti hanno questo di diverso rispetto alla restante porzione dell’umanità: continuano a credere in se stessi, “no matter what”, qualsiasi cosa accada.
Così può accadere loro di conquistare uno U.S. Open con una gamba rotta, o di cambiare lo swing all’apice della carriera e di continuare a dominare, o di uscire più forte da uno sputtanamento mediatico in mondovisione, o, ancora, di tornare a vincere con due vertebre fuse.
Dunque, dicevamo: continuare a credere in se stessi, qualsiasi cosa accada.
Per dire: martedì, in conferenza stampa ad Augusta, alla domanda se pensava di poter vincere il Masters 430 giorni dopo l’incidente automobilistico che gli ha spappolato la gamba destra, Tiger ha risposto: “I do”, certo che sì.
Ovvio. Perché ciò che separa i campionissimi come lui dalla folla è, oltre alla cieca fiducia che ripongono in loro stessi, anche il modo in cui rispondono alle difficoltà: in buona sostanza, nessuno può prevedere la potenza reattiva del fenomeno quando si sente messo nell’angolo; nessuno può neppure immaginare l’immane resilienza del super atleta che, anche e soprattutto nel disastro, è capace di scovare un appiglio a cui aggrapparsi per continuare a sperare in un suo futuro migliore.
Diciamocelo, dunque: nessuno di noi umani riusciva a ipotizzare la presenza di Tiger al Masters. Nessuno, tranne Tiger stesso.
La verità è che, a differenza nostra, i campionissimi sono capaci di sognare sogni impossibili, perché sanno che se nessuno ritiene folli le loro aspirazioni, allora significa che non stanno sognando abbastanza in grande. E se per noi esseri umani Tiger Woods ha già vinto il suo personalissimo torneo riuscendo a mettere il tee alla 1 di Augusta, per lui, nella sua mente, vincere significa qualcos’altro di ancora più enorme: significa indossare un’altra giacca verde.
“No matter what, I do”, direbbe Tiger. Perché bisogna sognare in grande. Sempre e comunque. E questa è la sua lezione più profonda per noi esseri umani ed è che la sconfitta arriva solo quando si smette di provarci.