Stick o Happy Gilmoure 2? A Voi la scelta!

Correva l’anno 1996 e con alcuni amici in un sabato pomeriggio invernale avevamo deciso di andare a vedere il nuovissimo film di Kevin Costner “TIN CUP”.

Il cinema si trovava al centro di Roma, non era un “multisala” come quelli che ci sono ora, di conseguenza l’occupazione dei posti in quel giorno ed in quell’orario dava già una chiara idea dell’interesse verso il tipo di pellicola.

Ad occhio e croce saremmo stati in 40 su 300 posti disponibili. Dei presenti ne conoscevo 15 (di campi da golf diversi).

Ad un certo punto del film, in una scena di grande passione sul suo camper,  Roy Mc Avoy (Kevin Costner) sussurra all’orecchio della bellissima Molly (psicologa ed ex fidanzata del suo avversario) :”mi concedi una mulligan?”

Abbiamo riso in 10 per la battuta, la cui spiegazione la potete trovare qui in un mio vecchio articolo.

Oggi è tutto più “On Demand”, e questo sicuramente mette a disposizione più contenuti anche per le nuove generazioni.

Volevo fare quindi una riflessione da “cronista del green”, sulla prima stagione di Stick su Apple TV+  e un confronto, inevitabile, con Happy Gilmore 2 con Adam Sandler.

Perché la prima stagione di Stick mi ha convinto

Rapporto allievo-coach ben costruito

Al centro di Stick c’è la relazione tra Pryce Cahill (interpretato da Owen Wilson) e Santi Wheeler, giovane promessa del golf. Il conflitto, le fragilità, i traumi del passato dell’ex campione sono gestiti con delicatezza: non è la classica “ascesa sportiva trionfale”, ma un percorso di redenzione e fiducia reciproca, fatto di dubbi, paure e piccoli passi — un’idea di coaching non solo tecnico, ma anche umano.

Autenticità del mondo del golf grazie ai partecipanti reali

Uno degli aspetti più riusciti è quanto Stick eviti lo stereotipo del “golf da film”: la serie è girata con attenzione, a partire da location reali, e con la partecipazione di veri giocatori di golf — scelta che aggiunge credibilità all’atmosfera, a quell’ambiente fatto di green, fairway e swing.

Tono umano, commedia “leggera” ma sentita

Non siamo né nel melodramma sportivo né nella satira esagerata: Stick trova un equilibrio narrativo fatto di ironia gentile, momenti di introspezione, e una scrittura fresca. Wilson sembra perfetto per questo ruolo: con lui, il golf non è solo un gioco ma un’opportunità di riscatto.

Una storia di “rinascita” credibile

La scelta di iniziare la serie da quando l’eroe è già caduto — e quindi di raccontare cosa significhi ricominciare — dà a Stick una profondità rara per un prodotto tipo commedia-sportiva. E’ alquanto realistico, fatto di errori, rimpianti e speranze.

In questo senso, Stick rappresenta una variazione matura sul tema “redenzione + sport + coaching”. Riesce a trasmettere che il golf,  come altri sport, può essere una metafora della vita, delle seconde chance, delle relazioni umane.

Quello che non convince 

Non tutto è perfetto: come in molte “commedie drammatiche sportive”, c’è il rischio che alcune dinamiche (traumi personali, coaching, riscatti) risultino prevedibili — specialmente se il pubblico cerca il classico “trionfo finale”.  La storia (per quanto ben raccontata) è per ora lontana da svolte davvero shock o sorprese radicali.

Inoltre, chi cerca nello sport solo adrenalina, competizione spietata, “grandi eventi” magari troverà Stick un po troppo “soft” — ma forse è proprio questo il punto forte della serie.

Confronto con Happy Gilmore 2

Tono e approccio al golf 

Stick opta per realismo, introspezione e una rappresentazione “onesta” del golf. Happy Gilmore 2, invece, rimane fedele allo spirito comico, esagerato e caricaturale tipico di una commedia slap-stick: swing improbabili, cadute nel ridicolo, golf trasformato in “cartone animato da campo sportivo”.

Motivazioni: redenzione e crescita contro nostalgia e intrattenimento

Il nucleo di Stick è il bisogno di riscatto — per Pryce e per Santi —, una costruzione emotiva lenta e credibile.

In Happy Gilmore 2, la spinta non è tanto la crescita personale quanto il ritorno del personaggio cult all’universo golf come mezzo per (ri)mettere in piedi una storia di caos e assurdità comica.

Complessità dei personaggi e del messaggio

Stick propone personaggi con ferite reali, relazioni complicate, un arco di trasformazione che va al di là del “vincere a ogni costo”. Happy Gilmore 2 gioca invece su stereotipi comici, gag visive, humor esagerato — ideale se cerchi leggerezza e risate, meno se cerchi introspezione o profondità.

Pubblico e aspettative differenti

Se sei appassionato di sport, realismo, drammi esistenziali e dinamiche di mentorato — Stick è probabilmente quello che stavi aspettando. Se invece cerchi puro divertimento, caos, humour politico, situazioni surreali: Happy Gilmore 2 offre ciò che serve.

Personalmente mi è piaciuto il modo di raccontare il golf nella prima stagione di Stick: non solo come competizione, ma come cammino umano, occasione di riscatto e costruzione di legami.

Il rapporto allievo-coach viene gestito con rispetto e sensibilità, e la presenza di veri giocatori e ambientazioni reali dà credibilità a un mondo — quello del golf — spesso ignorato o banalizzato.

Rispetto a Happy Gilmore 2, Stick è meno spettacolare, meno velocemente “digeribile”, ma probabilmente più autentico. Se l’obiettivo è emozionare, far riflettere e al tempo stesso intrattenere con eleganza,  Stick ci riesce.

Grazie a Cinematographe.it


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