Nella settimana della Presidents Cup canadese che pure si preannuncia estremamente interessante per un milionardo di motivi (non ultimo la bellezza stratosferica del tracciato di gioco, il Royal Montreal NdR), vale la pena soffermarci un secondo su Rory McIlroy e le sue (sfortunate) prestazioni.
Diciamocelo: all’interno del suo team, più che un caddie nuovo, più che un mental coach, all’irlandese servirebbe probabilmente una fattucchiera sulla sacca, vista la buona dose di sfigah subita begli ultimi mesi.
Partiamo per esempio dall’Irish Open, dove Hojgaard gli ha imbucato ben due approcci (di cui uno impossibile) nelle ultime 9 buche per bruciarlo di un solo colpo.
Veniamo poi a Wentworth, dove tutti sappiamo come è finita, con un Rory a cui non sono bastati rispettivamente un eagle, un par e due birdie nelle ultime due buche e poi nelle due di spareggio per avere la meglio su uno scatenato Billy Horschel.
Che dire? Molti criticano l’irlandese, molti lo perculano, ma così facendo perdono totalmente di vista la consistenza e il talento che sono necessari per essere così tanto spesso in contention a quei livelli tanto alti.
Lo stesso McIlory, dopo il BMW Pga Championship, non è apparso scosso o deluso dal risultato, ma giustamente ha puntato l’attenzione sulla qualità stellare della sua prestazione, dicendosi giustamente fiducioso per il futuro.Per quanto riguarda noi, cosa possiamo imparare dalle vicende di Rory? Che ha perfettamente ragione quell’anonimo che una volta ha scritto che
“il golf è una serie infinita di tragedie, offuscate da qualche miracolo occasionale”.
Se questa massima vale per Rory, figuriamoci per noi!