Alessandro Stucchi, maestro e giocatore

Alessandro Stucchi è un professionista di golf che conobbi tanti anni fa durante una gara della Federazione. All’epoca era dilettante; poi l’ho incontrato di nuovo il mese scorso al Campionato nazionale seniores a Barlassina, in veste di caddie. Anche prima di sapere che fosse lui ho avuto modo di osservarne e apprezzarne la meticolosità come caddie; saputo che era un professionista, sia maestro che giocatore, ho ritenuto che il suo percorso nel golf sia interessante per i lettori. Non mi sono lasciato scappare l’occasione di fargli qualche domanda.

Puoi raccontare i tuoi primi passi nel golf?

Il golf è sempre stato importante nella mia vita. Già da piccolissimo avevo i bastoni di plastica; mi sono avvicinato al golf grazie a un camp estivo, anche sulla scia di Lotti in televisione. Intorno al 2002-3 la fortuna ha voluto che un campo da golf, Villa Paradiso, venisse costruito proprio sotto casa. Non ho genitori che giocavano prima di me o tradizione familiare (papà ha giocato qualche anno, ma solo per farmi compagnia), è nato tutto da me. Verso la fine del liceo, grazie ai risultati ho capito che il golf poteva diventare una professione; da lì in poi è andato tutto in automatico.

E oggi?

Oggi sono maestro alle Pavoniere e giocatore dell’Alps Tour. Dal giovedì alla domenica lavoro come maestro, e utilizzo gli altri tre giorni per allenarmi: il circolo in questo mi dà una grossa mano. E proprio il fatto di non avere un tempo infinito per allenarmi mi fa percepire che la qualità dell’allenamento è più alta: avendo meno tempo sono sicuramente più concentrato, perché non ho la possibilità di “sprecare” le giornate. Non è stato semplice abituarsi a questo, ma quando si prende il ritmo va bene così.
Quest’anno sull’Alps ho la categoria 9: non ho quindi molte occasioni di giocare, ma cerco di sfruttare tutte quelle che ho – anche se il problema è che spesso si entra all’ultimo e quindi non è semplice preparare le competizioni. Proprio per questo motivo ho cominciato da poco a giocare le pro am: per mantenere la tensione alta e il gioco sotto pressione.

Come riesci a conciliare il lavoro di maestro con quello di giocatore?

Ho trovato un bellissimo equilibrio tra questi due aspetti della professione, nel senso che ho sempre avuto il problema di gestire la pressione piuttosto che non la tecnica; e il lavoro di maestro mi aiuta a essere molto più consapevole di quello che il golf è, perché lo vedi in tutti i suoi aspetti facendo lezioni a tipi di giocatori molto diversi tra di loro. Poi qui mi sono inserito bene grazie all’aiuto di tante persone, e questo è fondamentale – e in più mi ha facilitato nel conciliare i due aspetti.

Hai un maestro che ti segue o ti alleni per conto tuo?

Ho un maestro, che è Andrea Romano, colui che mi ha inserito qui alle Pavoniere. Io lo conoscevo da tempo, anche perché è stato un ottimo giocatore. Lui utilizza tanto la tecnologia (Trackman, SAM PuttLab, Force Plate) ed è un profondo conoscitore della tecnica, anche dal punto di vista del golf giocato. Quindi avere il suo supporto è stata per me una grandissima occasione che ho preso al volo.

Quanto ti aiuta la tecnologia nel lavoro come maestro?

Io penso che sia un aiuto fondamentale, e prima di tutto bisogna dire che averla non è scontato. In più, ti permette di scoprire delle cose che non potresti vedere con uno slow motion o a occhio nudo. Sto studiando tanto il Trackman, anche perché l’utilizzo come maestro è molto differente rispetto a quello che ne puoi fare come giocatore, e dunque è bene rimanere informati. Sono strumenti utilissimi e anche molto immediati per capire quello che succede.

Quanto è importante un buon caddie per un giocatore professionista?

È fondamentale. Io ho avuto diverse occasioni per fare il caddie a buoni livelli: l’ho fatto due o tre volte all’Open d’Italia a Lorenzo Scalise, e anche a Filippo Bergamaschi agli stage nel 2012 quando prese la carta per il Challenge. Il primo anno in cui Lorenzo disputò l’Open d’Italia giocò molto, molto bene e avemmo l’onore di giocare il terzo giro con Francesco Molinari. Hai l’occasione di vedere dall’interno l’importanza di un buon caddie. Con il tempo sta diventando un rapporto sempre più di amicizia, mi sembra di vedere che il caddie al giorno d’oggi sia quasi parte della famiglia nella quotidianità. E anche quando ho avuto qualcuno sulla sacca ho ricevuto una grande mano: è una persona che può dirti quella parola in più che può servirti, che può darti quella sicurezza di cui hai bisogno nei momenti di dubbio, e poi sicuramente sono due occhi in più e una mente lucida, che magari il giocatore in certi momenti può non avere. Quindi penso che sia un grande aiuto. È un lavoro molto affascinante e di fatica, sia mentale che fisica.

Ti consideri più giocatore o maestro?

Poiché sono riuscito a conciliare molto bene i due aspetti, in realtà non ho mai pensato se sono più maestro o più giocatore. Io penso che in entrambi i casi mi aiuta l’altro aspetto: quando insegno mi aiuta l’essere giocatore e viceversa. Quindi è qualcosa che può andare in simbiosi; basta trovare l’ambiente giusto e accogliere questo fatto, non cercare troppo di voler scindere le due cose.

Come ti vedi nel golf nel medio periodo?

Spero migliorato! [ride] L’obiettivo è sempre quello di far meglio. Io affronto l’insegnamento in maniera simile al gioco: per me è un migliorare giorno dopo giorno. Ora sono all’inizio, ma cerco di migliorare in entrambi gli aspetti. E quindi l’augurio che mi faccio è di trovarmi un golfista migliore, che si tratti di insegnamento o di gioco. E in questo mi sta aiutando tanto Nicola Albini [nota per il lettore: ho girato con lui il primo giorno a Barlassina]: un mental e leadership coach – un amico, innanzitutto – che mi sta dando una grossa mano per quanto riguarda i processi mentali, con l’obiettivo di sviluppare al massimo il mio potenziale sia dal punto di vista fisico che mentale.


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