Il golf è un gioco dai ritmi lenti e rilassati: in un giro di campo che dura più di quattro ore, il tempo totale dedicato al gesto atletico dello swing è meno di due minuti. Il resto è camminare, pensare, guardarsi intorno, valutare le condizioni del vento e del terreno e capire come influenzeranno quello che hai in mente di fare.
Nel lavoro del fotografo succede un po’ la stessa cosa: cammini, osservi quello che ti circonda, valuti le condizioni della luce e cerchi di prevedere che effetto avrà sull’immagine che vuoi realizzare, consideri la posizione e l’angolo d’attacco migliori, ma il tempo che effettivamente impieghi per fare lo scatto si risolve in 1/100 di secondo. Click: ed è fatta.
Quando però metti insieme golf e fotografia cambia tutto, e succede una cosa che ricorda quello che a scuola ci hanno insegnato sulle moltiplicazioni: meno per meno fa più.
Due settimane fa si è giocato l’Open d’Italia sul campo di Cervia e noi eravamo lì a documentare tutto quello che succedeva in campo e fuori dal campo. Si comincia il mercoledì, giornata tranquilla in cui il lavoro si divide fra il Centro Media, dove si tengono le conferenze stampa dei giocatori, e il tee della 1 per le foto di rito delle squadre che prendono parte alla Pro-am. La quiete prima della tempesta.
Giovedì, il primo giorno di gara, è tutta un’altra storia. La classifica non si è ancora delineata, controlli costantemente l’applicazione sullo smartphone per vedere chi passa in testa e a che buca si trova, e ad ogni cambiamento corri da una parte all’altra del campo per non perdere lo scatto di quello che potrebbe essere il leader alla fine della prima giornata. Ogni due o tre ore si torna al Centro Media per scaricare le foto scattate, mandare un po’ di materiale a chi si occupa della comunicazione istituzionale, e poi si torna in campo, muniti della ambita fascia arancione che ti consente di avere una visuale privilegiata “oltre le corde” e con un paio di chili di attrezzatura appesa al collo. Ci si muove sempre e solo a piedi – se ad ogni fotografo fosse assegnato un golf car il traffico in campo sarebbe come quello di Roma all’ora di punta – e a fine giornata hai fatto più chilometri dei giocatori.
Il venerdì non è da meno: anche se la classifica ha iniziato a prendere forma, ci sono ancora 150 giocatori in campo, cominciano gli eventi collaterali, arrivano gli ospiti istituzionali, e per quanto tutti questi appuntamenti siano pianificati nel dettaglio, c’è sempre l’imprevisto che ti obbliga a scombinare la tabella di marcia affidandoti ad una buona dose di improvvisazione.
Il sabato e la domenica, quando le partenze sono ordinate in base alla classifica, il lavoro diventa un po’ più semplice: ti concentri sui gruppi di testa e sui giocatori che si trovano a tre o quattro colpi dai leader, ma anche qui le sorprese non mancano, come è successo quest’anno quando Marcel Siem, in vantaggio di tre colpi a cinque buche dalla fine, si è trovato sul tee della 18 un colpo dietro a Tom McKibbin, leader in clubhouse. A questo punto è iniziato un frenetico giro di consultazioni fra i fotografi della squadra: chi ha una foto di McKibbin? Lo abbiamo preso su un tee di partenza o sul green della 18? Abbiamo una foto contestualizzata e che non sembri recuperata dall’archivio? Il destino ci ha dato una mano, o meglio Marcel ci ha dato una mano imbucando un lungo putt per il birdie e costringendo Tom al playoff: a quel punto eravamo certi che avremmo avuto la foto del vincitore. Seguono le foto di rito alla cerimonia di premiazione e poi, finalmente, torna la calma.
È una settimana faticosa, ma estremamente appagante. Amo il golf e amo la fotografia, e quando alla fine di ogni giornata, dopo una decina di ore sotto il sole in giro per il campo, ci si ritrova tutti al Centro Media per riordinare il materiale e si ride e si scherza con quelli che per una settimana diventano i membri della tua famiglia, penso alla fortuna e al privilegio di fare questo lavoro, e quando alla domenica sera usciamo per l’ultima volta dalla sala stampa, mi prende subito la voglia di tornare in campo con quelli che, conosciuti come collaboratori, sono diventati dei veri amici.