Non so se ve ne siete accorti, ma noi uomini del XXI secolo stiamo assistendo a una rivoluzione non solo filosofica, ma anche pratica, una rivoluzione cioè che cambierà a breve il nostro comportamento: si tratta della nascita di una nuova religione emergente, il cosiddetto “datismo”, una fede che non venera né l’uomo, né un Dio, ma solo il libero flusso in rete dei (nostri) dati. I quali dati sono alla base degli algoritmi computerizzati e dunque di quell’Intelligenza Artificiale (I.A.) che ora decifra solamente, ma che a breve supererà le prestazioni umane.
Ora, al di là del fatto che credo che siamo tutti convinti che si tratti di una materia altamente importante, e che proprio per questo motivo vada trattata con attenzione al fine di non restarne travolti, mi domandavo e vi domando quale effetto potrebbe entro il 2050 sul gioco del golf l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.
In parte lo stiamo già vedendo, con moltissimi campioni che ormai fanno riferimento agli algoritmi per decidere quale sia la migliore strategia da adottare buca per buca, colpo per colpo, nei tornei che disputano una settimana dopo l’altra. E ancora: è di queste settimane la notizia di bastoni da golf progettati utilizzando per la prima volta i dati forniti dall’I.A. Ma aggiungerei subito, a scanso di equivoci, che queste sono quisquilie rispetto a ciò a cui assisteremo nei prossimi anni, e a temerlo non sono solo io, ma geni del calibro di Yuval Harari.
Ora, siccome l’essere umano, che fino a ieri era l’ingegnere del sistema che ha creato, sta diventando ogni giorno che passa sempre più un minuscolo flusso di dati e niente più all’interno della rete, è abbastanza facile prevedere che nel futuro, che sarà governato da Matrix, i campioni di ogni sport, e tra questi ovviamente ci sono anche quelli del golf, faranno parte di un’èlite umana potenziata attraverso la biotecnologia e la bioelettronica, con microchip di I.A. impiantati all’interno dei loro corpi.
Questi stessi microchip saranno collegati a una rete sanitaria centrale capace di conoscere tutti i nostri dati medici in tempo reale, e saranno dunque in grado di modificare in diretta i livelli ormonali, o della pressione sanguigna, o di qualsiasi altra cosa, proprio all’interno dei corpi dei campioni impegnati nelle competizioni.
Per dire: il Tiger Woods del futuro dovrà imbucare un putt decisivo e gli servirà dunque un battito cardiaco più lento per non soffrire di tremori nelle mani? Nessun problema: il microchip sottocutaneo sarà in grado di fornirgli il giusto dosaggio di serotonina. E ancora: non è impossibile ipotizzare impianti di elettrodi di silicio, nanofili di carbonio, grafene o quant’altro per collegare dispositivi campioni-macchina: le interfacce cervello-computer serviranno come connessioni bidirezionali per inviare segnali o stimoli elettrici per influenzare l’attività celebrale degli assi dello sport in concerto con dispositivi esterni, tra cui processori di computer e protesi, al fine di migliorarne le prestazioni.
In buona sostanza, il tecno-umanesimo che ci aspetta dietro l’angolo ci sta spingendo a sviluppare tecnologie che possono controllare e/o disegnare la nostra volontà e le nostre capacità, fino al punto in cui non saremo più in grado di distinguere se il colpo decisivo alla 72sima buca del Masters sarà stato tirato dal campione che tutti ammiriamo, o dai suoi impianti biotecnologici inseriti sotto o sopra l’epidermide.
So che tutto questo oggi sembra una follia, ma so anche che se il XX secolo è stata l’era delle masse, il XXI segnerà l’epoca di un drappello di super-uomini potenziati dalla tecnologia. In fondo, la teoria regina del datismo è che dal momento che noi uomini non siamo altro che algoritmi biochimici, la tecnologia può essere facilmente usata per manipolarci. E magari anche per farci giocare meglio a golf.
Vedremo.