E se vince un transgender che accade?

La vittoria in un torneo di un qualsivoglia circuito professionistico è sempre una di quelle notizie da raccontare con un certo grado di entusiasmo: in fondo di sport si tratta e chi trionfa, di chiunque si tratti, diventa immediatamente l’eroe del giorno.

Lo champagne resta in frigo, però, però se a vincere è un atleta transgender in un circuito femminile di golf: da quando domenica scorsa Hailey Davidson ha fatto suo il Women’s Classic, torneo dell’ NXXT Tour in Florida, a scorrere a fiumi non sono stati i litri di prosecchino in clubhouse, ma piuttosto di odio online. E quando sui social sono persino comparse svariate minacce di morte all’indirizzo di Hailey, il board del circuito NXXT si è fatto avanti per tutelare la giocatrice, chiedendole di sottoporsi a un esame ormonale per dimostrare che i suoi livelli di testosterone rientrassero nei parametri delle linee guida della USGA e dell’LPGA Tour.

Ora: la Davidson ha iniziato la sua transizione il 24 settembre 2015; da allora, come racconta lei stessa sui suoi profili social, c’è stata una cura ormonale e pure un’operazione chirurgica, ma non solo: ci sono stati otto anni in cui, giorno dopo giorno, il suo corpo ha perso muscoli, forza, testosterone e soprattutto la capacità di tirare la palla forte e lunga come un tempo.

Certo, si sa, da che mondo è mondo lo sport è diviso in due categorie distinte: quella maschile e quella femminile e tale scissione è dovuta alla genetica e ai vantaggi/svantaggi che essa comporta. Ma, mi chiedo e vi chiedo, se arriva un momento in cui la genetica stessa viene superata e gli eventuali vantaggi che dovrebbe comportare spariscono sotto l’effetto di cure mediche, che si fa?

Deve essere proprio questa la domanda che tempo fa si sono posti il circuito LPGA e la USGA e la risposta che si sono dati è nei parametri che hanno ben delineato: un’atleta, per partecipare nella categoria femminile dei tornei in questione, deve essersi sottoposta a “un’operazione chirurgica che ne affermi il genere e deve presentare dei livelli di testosterone tali da non creare alcun tipo di vantaggio nelle competizioni” (NB.: per intenderci, il livello del testosterone nei transgender spesso rasenta lo zero).

Detto, fatto: Hailey Davidson può dunque partecipare alle gare femminili.

“Ho subito l’operazione nel 2021 – ha raccontato la proette a Good Morning Britain – e certamente prima di allora posso dire con tranquillità che avrei avuto un vantaggio fisico rispetto alle mie colleghe, ma oggi, dopo anni di trattamenti, sono certa al 100% che quello stesso vantaggio è completamente sparito”.

Eppure, nonostante questa sia la realtà scientifica dei fatti, l’hate speech online, determinato per lo più da ignoranza, non tende a placarsi, ma come scrive la stessa Hailey sul suo account Instagram “Non permetterò mai all’odio di vincere, soprattutto quando è basato su forme di disinformazione”. E almeno su questo, non si può darle certamente torto.


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