Finalmente si torna in campo

Ci siamo. La settimana prossima torna l’ora legale, e sarà la scintilla che innescherà definitivamente la mia voglia di tornare sul campo da golf. A inizio novembre avevo raccontato le ragioni per cui la stessa convenzione che ci fa portare indietro le lancette di un’ora, e che coincide con un abbassamento delle temperature e una riduzione delle ore di luce, segna la fine della mia stagione golfistica; rispettando la stessa puntualità, l’ultimo weekend di marzo accompagna il mio risveglio dal “letargolf”, e ricomincio a vagare per i boschi come un orso indolenzito dopo il lungo sonno invernale: l’Orso Duro.

La mia routine prevede di arrivare al golf con gli amici e, dopo cinque mesi di inattività totale, tirare venti colpi in campo pratica giusto per scaldare la schiena, e poi mettere la palla sul tee per la prima partitella dell’anno. In genere funziona: vado in campo senza troppe pretese, pensando solo a fare lo swing piano e con un buon ritmo e il layout del percorso mi aiuta, concedendomi di non tirare fuori il driver per le prime buche: si comincia con un par 3 da ferro 8, il migliore amico che ho in sacca, e come tutti i migliori amici anche dopo mesi che non ci si vede è come se ci si fosse incontrati il giorno prima; segue un par 5 corto che all’inizio della primavera non ha senso cercare di prendere con il secondo colpo, per cui il legno 5 dal tee va benissimo. Poi un corto par 4 con un tee shot da ferro 5, e anche qui la mia “tacchella” corta destra mi lascia un secondo ancora giocabile. Dopodichè un par tre lungo con acqua a destra e fuori limite a sinistra apre il sipario sul golf vero, quello che non ho praticato per tutto l’inverno, ma un po’ di mestiere e la serena accettazione del doppio bogey mi permettono di continuare a giocare con una certa confidenza.

Un po’ di mestiere e serena accettazione (photo: G.B.)

In tutto questo ovviamente la sensibilità sul gioco corto è un’altra storia: il putt più o meno lo muovo dritto, e i green dopo il disgelo mi concedono l’attenuante di un concorso di colpa con il green keeper per ogni mio errore dalla corta distanza;  le difficoltà vere, quelle che mi fanno capire perché forse nel corso dell’inverno avrei potuto dovuto andare a praticare ogni tanto, arrivano quando ho un colpo dai 40 metri in giù, e devo modulare il sand iron: io amo il sand iron, mi diverto a tirare i colpi con quel bastone, ma ogni volta che lo prendo in mano un brivido mi corre lungo la schiena, perchè tutto può succedere; a inizio stagione, tuttavia, ho una certezza: flappa. Le “lamate” e gli shank, insieme alle margherite, iniziano a vedersi sul campo ad aprile inoltrato.

Lo so, se in inverno andassi a praticare probabilmente esprimerei da subito un gioco migliore, ma alla fine dei conti lo score mi interessa poco: ho solo voglia di tornare sul campo, ritrovare la sensazione del bastone fra le mani, provare a tirare qualche vero colpo da golf con i miei amici, e alla fine del giro bere una birra ridendo e cercando di dirimere la questione di chi abbia tirato il colpo più brutto. E fra una settimana, finalmente, saremo di nuovo lì per scoprirlo.


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