I miei “best” allo Us Open.

I miei “best” allo U.S. Open.

Con un titolo così sembra quasi che lo abbia giocato, ma “best” è riferito alle annate e soprattutto alle prestazioni che non potrò mai scordare.

Lo dico apertamente, anche se spesso è trasparito dai miei commenti televisivi: lo U.S. Open non mi è mai stato simpatico come major.

Qualcuno potrebbe dire: “figuriamoci a Phil Mickelson che per ben 6 volte è arrivato secondo!”

A parte gli scherzi, salvo alcune eccezioni, ho sempre detestato la politica della USGA (United States Golf Association) di voler mettere a tutti i costi in difficoltà i giocatori.

Spesso la teoria del “è tutto valido”, per rendere i partecipanti una versione moderna e incruenta di gladiatori nell’arena, ha aumentato solo lo share televisivo a discapito del reale valore dei giocatori. 

A me è aumentata la pressione (quella sanguigna), ma sono rimasti i ricordi indelebili di alcuni giocatori che sono stati capaci di prestazioni tecniche e mentali così alte  da meritare una classifica dei “best”.

Classificare le prestazioni allo U.S. Open è un po’ come classificare le schiacciate di Michael Jordan. Sono tutte fantastiche.

Per questo motivo non ho voluto stilare posizioni. Fatelo voi se volete.

E’ spesso il modo di vincere e le circostanze attorno ad una vittoria che fanno risaltare una performance  da Open, non solo il fatto che lo U.S. Open sia uno dei major.

Ci sono state delle prestazioni straordinarie caratterizzate da colpi fantastici, strategie perfette, e rimonte da infarto.

Fin dall’inizio nel 1895, i migliori titoli sono stati vinti da giovani o da giocatori d’esperienza, da un ragazzo che giocava su una gamba e un altro che giocava con pantaloni originali, da stelle nascenti, playoff da mangiarsi le unghie e vittorie da record.

Dopo così tanti anni, sarebbero troppe da contare. Di seguito quelle che ricordo con maggior piacere.

Rory McIlroy, 2011

McIlroy ha giocato al Congressional come per vendicarsi, diventando il più giovane campione U.S. Open, a soli 22 anni, 1 mese e 15 giorni (non succedeva dal 1923 con Bobby Jones).

Ma quella è stata solo una parte. All’inizio dell’anno, era in testa prima dell’ ultima giornata del Masters,  per  poi crollare con un ultimo giro in 80  colpi e finire in parità per il 15 ° posto.

Lo U.S. Open è stata la sua occasione per dimostrare al mondo che i suoi giri di apertura all’Augusta National non furono un colpo di fortuna.

Ha vinto, dominando il percorso e stabilendo un  record di 16 colpi sotto il par, 268 totali, battendo il precedente di quattro colpi.

McIlroy è andato in testa al torneo a metà gara segnando due scores in 65 e 66, un record per le prime 36 buche allo U.S. Open.

Non ha mai guardato indietro.

Hale Irwin, 1990

E’ passato alla storia “il ballo della vittoria” di Hale (guardalo qui).

In svantaggio di quattro colpi nel giro finale, Irwin ha “demolito” le ultime nove con 31 colpi.

Per coronare il suo giro stellare ha imbucato un birdie di 45 piedi sull’ultima buca che ha mandato la folla in delirio.

Il due volte campione U.S. Open aveva colmato un divario di quattro colpi, costringendo Mike Donald al playoff. Irwin ha quindi vinto il suo terzo titolo battendo Donald alla 19a buca del giro di spareggio.

Payne Stewart, 1999

Se questa raccolta fosse basata esclusivamente sulle emozioni, lo U.S. Open del 1999 a Pinehurst occuperebbe il gradino più alto.

Payne Stewart ha avuto la meglio sulla star emergente Phil Mickelson per vincere quello che sarebbe stato il suo terzo titolo major e la sua ultima vittoria sul PGA Tour.

 

Stewart morì in un incidente aereo pochi mesi dopo. Il suo gesto di vittoria è stato immortalato in una statua di bronzo che si trova a Pinehurst.

Solo un anno prima, Stewart aveva perso per poco lo U.S. Open e venne a Pinehurst per riscattarsi.

Lui e Mickelson, che stava ancora cercando la sua prima grande vittoria, si sono alternati in testa  per l’intera giornata finale, fino a quando Stewart ha avuto la possibilità di chiudere alla penultima buca.

E’ stato lì che Stewart, vestito con un delle sue divise NFL  e gli originali plus fours imbucò un putt per il birdie e prese il comando. Conquistò la vittoria con un par all’ultima buca, dove il suo gesto è diventato la sua eredità.

Tiger, 2000 

Con 12 colpi sotto il par, finendo con 15 colpi di vantaggio su Ernie Els, secondo classificato, demolì tutti i record e stabilì il più grande margine di vantaggio nella storia dei major.

Alla fine, Tiger fu l’unico giocatore in campo ad essere sotto par.

 

La sua vittoria pose le basi per il “Tiger Slam”, poiché vinse i successivi tre major e diventò il primo giocatore dopo Bobby Jones a detenere tutti e quattro i principali tornei contemporaneamente.

Tom Watson, 1982

Il 1982 ha visto l’unica vittoria di Watson allo U.S. Open, ma non una qualsiasi.

Non solo ha vinto il torneo, ma ha battuto il suo rivale di sempre Jack Nicklaus, il giocatore più forte del mondo in quel momento, in modo spettacolare.

Watson era in testa quando Nicklaus mettendo a segno cinque birdie consecutivi nell’ultimo giro  si portava in parità.

Dopo aver alternato la prima posizione sulle buche successive, Watson e Nicklaus sono arrivati pari alla 17.

Si pensava che Watson avesse commesso un errore fatale al diabolico par 3, andando in rough.

 

Pensando alla vittoria, non alla sconfitta, Watson non solo ha imbucato per il birdie e il vantaggio, ma si è ripetuto anche alla diciotto, spesso considerata la più drammatica nella storia dello U.S. Open.

Tiger Woods, 2008

Una gamba.

Era l’unico sostegno su cui stava giocando Tiger dopo essersi strappato il legamento il primo giorno a Torrey Pines mentre era in corso una frattura da stress che lo avrebbe fatto zoppicare  per tutto il torneo.

Il dolore di Tiger durante ogni swing era così palpabile che era difficile guardarlo giocare.

Ma ha giocato, con una tale grinta che nulla avrebbe potuto ostacolare il suo 14° titolo major.

Per la quattordicesima volta nella sua carriera, ha mantenuto il comando dopo 54 buche in un torneo del grande slam. Ma stava ancora zoppicando lungo il percorso.

Il giro di domenica è stato pieno di alti e bassi; Tiger aveva bisogno di un birdie sulla 18 per forzare un playoff e di un wedge perfetto da 87 metri per metterla in asta.

Ha imbucato da 5 metri, costringendo Rocco Mediate alle 18 buche di playoff del lunedì.

Inutile anche quello, tanto da dover ricorrere al sudden death.

Alla 19ma è stato sufficiente un par per la vittoria finale.

 

Subito dopo, Tiger subì un intervento chirurgico al ginocchio che lo allontanò dal golf per sei mesi.

Sarà anche quest’anno un’annata speciale?


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