Il numero 9 finale ha un significato molto forte e motivante per ogni golfista. Può essere 99, per un principiante che cerca di scendere sotto le tre cifre; 89, per un giocatore intermedio desideroso di migliorare; 79, per chi punta a distinguersi; 69, per un golfista più che ottimo; e infine il leggendario 59, un risultato straordinario riservato all’élite del golf professionistico, una dimensione che si crea solo grazie a una rarissima combinazione di fattori come il talento e uno stato mentale leggero e concentrato allo stesso tempo, uniti al caso e allo sguardo benevolo degli dei del golf.
Uno dei più memorabili 59 della storia del golf è opera di David Duval, primo nella storia del PGA TOUR a essere stato completato di domenica, il 24 gennaio 1999 nel giro finale del Bob Hope Chrysler Classic al Palmer Course del PGA West a La Quinta, in California. (Un avvenimento molto palmeriano, in effetti.)
Ho stufato tutti dicendo che prima o poi diventerò il numero 1 al mondo; e se ora vengo considerato tale ne sono lusingato ed emozionato (David Duval nella conferenza stampa al termine del giro).
Qualche numero di quel giro magico:
– birdie: 11
– eagle: 1
– GIR: 17 su 18 (94,4%)
– fairway: 11 su 13 (84,6%)
– colpi al green entro un metro e mezzo: 9
– colpi al green entro sei metri: 15
– putt più lungo imbucato: 3 metri
I giri in 59 colpi: rarità e fascino
I giri in 59 colpi, spesso considerati il massimo risultato di perfezione raggiungibile, sono rarissimi. Nella storia del PGA TOUR sono stati registrati solo quattro giri in 59 colpi su percorsi par 72 fino ad oggi. Prima di Duval solo due golfisti avevano raggiunto quel risultato: Al Geiberger nel 1977 e Chip Beck nel 1991; in seguito c’è stato il 59 di Adam Hadwin nel 2017; ci sono poi altri nove 59, ma “purtroppo” realizzati in campi par 70 e 71, e il 58 di Jim Furik (Mr. 58, appunto) realizzato nel 2016 su un par 70.
Per i puristi del golf esiste anche un sogno più grande, ovvero quello che secondo la leggenda era il sogno ricorrente di Ben Hogan: un giro in 54 colpi, con birdie a tutte le buche.
David Duval e il suo storico 59
Il 24 gennaio 1999, durante il Bob Hope Chrysler Classic (oggi The American Express), David Duval scrisse una pagina indelebile nella storia del golf. Duval chiuse le prime nove in 31 colpi (cinque birdie), ma fu sulle seconde che il suo gioco prese davvero fuoco: mise otto ferri entro i quattro metri chiudendo in 28 colpi (sei birdie e un eagle finale). L’eagle decisivo arrivò proprio sull’ultima buca, un par 5, dove Duval mise il secondo colpo, un ferro 6, a meno di due metri. Il putt imbucato gli valse non solo lo storico giro in 59 colpi, ma anche la vittoria nel torneo, con un margine di un solo colpo sul secondo classificato.
“I probably can’t play better.”
Le reazioni di Duval
Dopo il giro, Duval espresse grande emozione ma anche una calma olimpica che potrebbe sorprendere. “Non ci pensi mentre giochi, sei completamente immerso in ogni colpo,” disse ai giornalisti. “Ma una volta finito, ti rendi conto di quanto speciale sia stato”.
Dopo averlo visto imbucare per la quarta volta su quattro nei par 3 ho detto: “Non mi ero accorto che oggi si giocasse sui par 2” (Jeff Maggert, compagno di gioco di quel giorno)
L’eredità del 59 di Duval
Per i golfisti di ogni livello, quel numero è un promemoria del fatto che, indipendentemente dal sogno che inseguono, il golf è uno sport che premia la perseveranza e la passione. E ogni tanto regala momenti di magia pura e assoluta.