Dopo un mese in nord-europa, il Challenge Tour ha finalmente fatto tappa in Spagna.
Andalusia è sinonimo di estate, sole, mare, tapas e golf.
A causa covid e al fine di diminuire i costi per i giocatori senza sacrificare eventi, i due tornei sono stati organizzati nello stesso campo, all’interno di una “bolla” e con solamente un giorno di pausa tra una gara e l’altra.
Insomma, una situazione molto simile rispetto a quella dell’Alps Tour ad Acaya. La differenza è che qui sul Challenge Tour si giocano quattro giri ed avere un solo giorno per riposarsi tra un torneo e l’altro può risultare stancante.
Io che arrivavo da quattro settimane consecutive in cui ho mancato il taglio; sinonimo di tantissima pratica per ritrovare la forma, ho patito molto la stanchezza.
In queste due gare era consentito il caddie, dunque ho deciso di fare l’investimento ed assumerne uno per avere un supporto in più.
Investimento che ha fruttato. Finalmente dopo sette tagli mancati consecutivamente ( due sull’Alps e quattro sul Challenge), ho riprovato le sensazioni del weekend durante la prima gara.
Avere un caddie per me si è rivelato fondamentale. Parlare con lui prima di ogni colpo, mi ha aiutato tantissimo con la visualizzazione ed a concentrarmi solo sull’obiettivo, senza avere “disturbi di segnale” causati da pensieri tecnici che troppo spesso si intromettono nelle mie giornate.
Dopo tanto tempo, ho giocato a golf.
Quello sport dove gli errori capitano, dove si prova ad andare da un punto A ad un punto B con quello che si ha, accettando l’esito, ma lottando fino alla fine per fare il meno possibile.
Io sono uno che ha sempre lottato, l’unico problema è che troppe volte combatto le battaglie sbagliate sprecando energie.
Mi è bastato spostare l’attenzione dal tentativo di giocare un golf tecnicamente “perfetto”, ad un golf in cui provo con tutte le mie energie a tirare la palla in un punto specifico, non curante della modalità con cui ci arriva. Basta che ci arrivi!!
Ci sono volute tante settimane per costruire la consapevolezza di essere sulla strada giusta tecnicamente e per potermi fidare di impostare il colpo e BUM, tirare.
I primi colpi in cui ho lasciato prevalere l’istinto avevo paura di mancare la palla. Io sono un maniaco del controllo e lasciare le braccia muoversi autonomamente è stato un trauma. Un po’ come quando ti insegnano a nuotare: hai paura di buttarti perché temi di affogare, però dopo che vieni spinto in acqua e magicamente rimani a galla, ti devono portare via di forza perché non vuoi più smettere di nuotare.
Ecco, a me è successa la stessa cosa, mi sono buttato ed ho iniziato a giocare bene
E’ buffo pensare come nel golf, nel tentativo di migliorarsi ci si perda in un bicchier d’acqua.
Non mi ero dimenticato di come si giocasse. Semplicemente i pensieri del golf praticato avevano sostituito quelli del golf giocato.
Detto questo non bisogna eliminare i pensieri tecnici; vanno alternati con quelli da gioco durante gli allenamenti. La verità sta sempre nel mezzo.
Il primo torneo l’ho concluso al 38° posto. Un po’ di rammarico poiché ero decimo dopo due giri, mentre non ho superato il taglio nel secondo.
Il mix di stanchezza fisica e mentale, mi hanno impedito di poter performare come nel primo torneo.
Ora torno a casa qualche giorno per ricaricare le pile e lunedì sarò di nuovo in viaggio verso la prossima tappa in Francia con quel pizzico di fiducia in più per puntare a grandi cose!