Il caddie, un’antica professione moderna

Qualche settimana fa ho parlato, tra gli altri, di un libro assolutamente di nicchia ma di importanza notevole per comprendere più da vicino alcune sfaccettature del mondo del golf: il ruolo del caddie all’interno dei circoli, e più nello specifico il caddie che ha formato una relazione col giocatore-cliente.

Quel libro è pregevole perché mette un punto fermo attorno ad un tema di certo secondario (rispetto al nostro proprio swing, ai nostri eroi golfisti, alla gara di domenica prossima e così via) ma che un golfista, se vuole veramente considerarsi tale, è tenuto a conoscere. Questo perché non possiamo ignorare la storia passata se vogliamo avere delle basi solide per il futuro.

Ho fatto una chiacchierata con l’autore del libro, Antonio Censi, consigliere della Fondazione A.J. Zaninoni che è impegnata in un progetto che potrebbe anche non portare frutti concreti. Tranne che forse li porterà. Sovviene Erri De Luca:

Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.

Puoi descrivere la ricerca che sta alla base del libro?

Io sono partito dal contatto con diversi ex caddie, le cui storie – come racconto nel libro – mi avevano incuriosito. Poi mi sono imbattuto in questo articolo di Bradley Klein, secondo il quale colui che ha fatto il caddie resta caddie per sempre: tale articolo ha confermato più di una credenza che avevo, per esempio il “comportamento da gentiluomini” di cui il golf dovrebbe permearsi. Da queste basi è partito il mio studio.

Come si è sviluppato il progetto?

Sono stato sostenuto dalla Fondazione A.J Zaninoni, di cui faccio parte e che fa capo a Pia Locatelli. Un paio di anni fa l’editore Treccani ha pubblicato un libro, Testa mano cuore, la cui tesi centrale stabilisce che i nostri sistemi pedagogici sono più orientati allo sviluppo dell’intelligenza cognitiva rispetto a quella manuale e a quella emotiva (i cosiddetti life skills). Allora ho pensato che una moderna esperienza come caddie potrebbe sviluppare queste due attitudini; e dal momento che la Fondazione era impegnata in una attività in carcere a sostegno di ragazzi che hanno subìto condanne penali è nata l’idea di proporre un progetto formativo dedicato a loro. L’idea – molto impegnativa, e complessa – è di coinvolgerli in un training formativo come caddie svolto soprattutto sul campo, un po’ come accadeva ai caddie di un tempo. Una delle difficoltà consiste nel trovare dei caddie disposti ad insegnare il mestiere, anche perché – come sappiamo bene – si tratta di una figura pressoché scomparsa nel golf di oggi, salvo in alcuni circoli storici e di tradizione.

Antonio Censi

Quali sono i possibili benefici?

Sono potenziali, certo, ma sono parecchi:

  • l’apprendimento di un mestiere sul campo;
  • l’acquisizione del valore del rispetto della regola;
  • la socializzazione al lavoro;
  • la relazione adulto-giovane, che offre la possibilità di una conoscenza intergenerazionale, aumentata dal fatto che il giocatore adulto trova nel caddie un aiuto fondamentale (perché in una situazione di gioco complicata il caddie, non essendo parte in causa, vede i problemi emotivi del giocatore in maniera più nitida).

In questo senso abbiamo molto da imparare dal modello americano (le varie caddie academy): è vero che i golfisti italiani sono in numero decisamente inferiore rispetto a quelli americani, ma la possibilità è quella di affinare attraverso il mestiere di caddie delle doti – leadership e così via – che saranno utili nella vita lavorativa.

E in prospettiva?

Questa esperienza potrebbe dar luogo a progetti formativi dedicati a ragazzi nella fascia 14-16 anni, che potrebbero imparare il rispetto delle regole, e quindi potrebbe essere una sorta di formazione alla cittadinanza rispettosa e all’attenzione all’altro – apprese soprattutto attraverso l’esperienza sul campo. [Nota mia: la stessa Pia Locatelli mi ha descritto con molto entusiasmo l’iniziativa, parlando di un modulo formativo che potrà diventare un riferimento futuro. Si tratta insomma di un progetto in divenire ma che parte da basi concrete e con prospettive cariche di significato.] Pensiamo ad esempio al problema dell’attenzione: per un ragazzo, che vive con gli occhi appiccicati tutto il giorno su un cellulare, il fatto di andare su un campo e dover stare attento e vedere dove va la pallina – fare il forecaddie, in una parola – lo costringe a rimanere concentrato: l’esperienza di caddie potrebbe essere dunque una palestra di apprendimento, di attenzione, anche alle regole di cortesia.


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