Imparare a imparare: intervista a Mark Guadagnoli

Mark Guadagnoli, professore di neuroscienze e neurologia dell’Università del Nevada di Las Vegas, ha pubblicato alcuni anni fa un libro diretto al golfista seriamente desideroso di migliorare il proprio gioco.


L’idea di Guadagnoli è che bisogna essere disposti a sfidare se stessi durante la pratica. Ciò significa che si deve fare una scelta: è preferibile apparire bravo adesso oppure essere più bravo in futuro? Il libro spiega l’atteggiamento mentale necessario per raggiungere l’eccellenza e illustra i modi specifici per farlo. L’intuizione essenziale, in breve, è l’idea che per migliorare a golf dobbiamo praticare le parti del gioco che non ci riescono bene. Il punto è aspettarsi di fare fatica mentre si pratica, viceversa non staremmo imparando nulla.

In maniera simile a quanto fatto tanti anni fa, gli ho posto alcune domande. Per approfondimenti specifici rinvio alla lettura del libro, ma nelle sue parole c’è già un’ottima introduzione.

Come possiamo imparare a imparare?

L’argomento è decisamente vasto. L’apprendimento si riduce in ultima analisi al processo di neuroplasticità, che consiste nel modificare la struttura fisica e la biochimica del sistema nervoso. E per farlo occorrono tre elementi:

  • informazioni nuove;
  • un livello di sfida appropriato;
  • il tempo necessario per integrare le nuove informazioni.

(1) Le informazioni nuove devono essere presentate all’allievo in un modo e a un livello comprensibili, fornendogli delle nozioni che siano un poco oltre il suo grado di conoscenza.

(2) Il livello di sfida appropriato consiste nel presentare informazioni e creare una sfida per l’allievo che sia appena oltre la sua comprensione: ciò stimolerà la crescita e il cambiamento nel cervello. Se una persona non viene messa alla prova, non imparerà. Se si sfida il discente troppo o troppo poco, si rallenta l’apprendimento. Questa è l’essenza della teoria universale dell’apprendimento ottimizzato nota come Challenge Point Framework, che ho sviluppato con Tim Lee: applicando questa teoria si impara 3-4 volte più velocemente e l’apprendimento regge anche sotto stress.

(3) Il cervello ha bisogno di tempo per creare neuroplasticità. Colpire una palla dopo l’altra non darà al cervello il tempo sufficiente per elaborare le informazioni, e queste andranno quindi perse.

Mettendo insieme tutto ciò, ecco due regole che possono aiutare la pratica:

(1) non colpire più di tre palline di seguito. Dopo un massimo di tre palle fai un passo indietro, pulisci il bastone o – meglio ancora – chiudi gli occhi e respira per 20 secondi;

(2) segui per intero il volo della palla. Questo aumenta il valore di ogni colpo effettuato, perché fornisce un feedback aggiuntivo e dà più tempo al cervello per elaborare le informazioni. Inoltre, aiuta a mantenere un ritmo adeguato.

Queste regole di allenamento sono state concepite per migliorare l’apprendimento, privilegiando la qualità rispetto alla quantità. Ci vorrà un po’ più di tempo, probabilmente colpirai meno palline e dovrai praticare con disciplina, ma otterrai molto di più da ogni sessione di pratica.

Quali sono i principali ostacoli per l’apprendimento in campo pratica?

Troppe persone praticano per apparire brave, non per migliorare. Quando in campo pratica si tirano tanti bei colpi ci si sente bene, ma non si impara quanto si imparerebbe se si facesse fatica per via del grado maggiore di sfida. Imposta la pratica in modo da avere un tasso di riuscita del 65-70%; se è superiore, allora non ti stai sfidando abbastanza. Per aumentare la sfida si può aumentare la pressione, per esempio mirando ad un obiettivo più piccolo o cambiando spesso bastone. Mettiti alla prova durante la pratica, in modo da essere meno sotto pressione durante la gara.

Quali strumenti suggerisci per un apprendimento efficace?

I modi specifici per aumentare l’apprendimento sono:

cambia bastone o bersaglio, tanto più spesso quanto più sei bravo nel colpo che stai tirando. Sfidarsi vuol dire crescere. Colpire ripetutamente lo stesso bersaglio con un ferro 7 quando si è un buon golfista è in gran parte una perdita di tempo; tuttavia, se tiri un buon ferro 7 solo il 50% delle volte, allora continua a tirarlo: potrebbe essere la sfida giusta per te;

chiudi gli occhi e respira tra una serie di tre colpi e l’altra. Il cervello continuerà a lavorare sullo swing, riproducendolo più e più volte, col risultato che imparerai anche quando non stai colpendo una pallina;

mettiti alla prova, cambiando obiettivo ogni volta, eseguendo la routine completa e mettendoti sotto pressione.

Vorrei che approfondissi il concetto di pratica dello swing senza palla. In che modo può essere utile per il golfista?

Esercitarsi nello swing senza palla è utile per capire cosa si sta cercando di fare: serve dunque per la comprensione cognitiva del colpo.

Pensi che il concetto di pratica distanziata [ovvero l’idea di guardare la palla il più a lungo possibile prima di prendere una seconda palla da colpire] si applichi anche ai putt corti (intorno al metro)? Te lo chiedo perché credo che il concetto di pratica distanziata sia perfetto per lo swing e anche per il gioco corto, ma che una pratica efficace per i putt corti richieda 20-30 minuti di concentrazione e di ripetizioni continue, ovvero che non sia necessario né opportuno fermarsi a pensare troppo tra un putt e l’altro. Credo che questo sia dovuto al fatto che il movimento del putt corto è meccanico e più semplice rispetto allo swing completo, ma sono molto interessato a sentire la tua opinione.

La pratica distanziata può essere utile se si insegna la meccanica e la concentrazione. Inoltre, permette al cervello di elaborare le informazioni. Capisco il motivo per cui suggerisci che la pratica distanziata potrebbe non essere applicabile ai putt corti; il fatto è che ciò che fa stare bene non è necessariamente ciò che fa bene. Ricorda che stai cercando di creare una sfida o uno stress durante l’allenamento, in modo da stimolare le attività di apprendimento automatico del cervello. Se è troppo facile, il cervello perderà le informazioni. La pratica distanziata è più difficile della pratica ripetitiva – e quindi ha un valore. In sostanza: se quello che fai è comodo, allora non ti stai sfidando abbastanza.

Ci sono suggerimenti o idee che oggi, a distanza di anni dalla pubblicazione, aggiungeresti al libro?

Sì, perché la scienza della neuroplasticità è cresciuta molto in questi anni. Nella nuova versione del libro prevista per il prossimo anno, a cui sto lavorando col professor Chris Bertram e con Christopher Smith (ex detentore del record mondiale di speed golf), ci sono molte più informazioni dal punto di vista delle neuroscienze.

Due sezioni importanti che il libro precedente non conteneva sono la scienza e l’applicazione del concetto di flow (è fondamentale capire come praticare in uno stato di flusso) e l’Elite Performer Cycle (ovvero praticare – competere – recuperare: spiega come prepararsi alla competizione ed è applicabile per migliorare tanti aspetti anche extragolfistici), e su come utilizzare entrambi per migliorare l’apprendimento e le prestazioni sul campo. Utilizziamo anche le neuroscienze per ottimizzare le prestazioni nel golf. Naturalmente, il Challenge Point rimane un tema importante del nuovo libro, e il titolo provvisorio è infatti Challenge Point Golf.


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