John Updike è stato uno scrittore di prim’ordine: ha vinto per due volte il premio Pulitzer ed è stato più volte candidato al premio Nobel per la letteratura.
Come golfista avremmo probabilmente potuto definirlo modesto; ma era un vero appassionato, e il gioco gli diede sempre una soddisfazione enorme. Aveva una quadretta fissa al Myopia Hunt Club, a nord di Boston, e più volte descrisse quei giri di golf con gli amici tra i momenti più felici della sua vita. Arrivò al golf tardi, a 25 anni, nel giardino di una zia, dopo essere stato affascinato dalle storie di golf di P.G. Wodehouse.
Il golf lo accompagnò per tutta la vita, e quell’amore nel 1996 divenne libro: Golf Dreams. Writings on Golf, uscito in italiano due anni più tardi (in una traduzione migliorabile) col titolo di Sogni di golf. Sono trenta racconti, scritti in un arco temporale lunghissimo (tra il 1958 e il 1995), testimonianza di una dedizione appassionata, testarda e lunga una vita dell’autore al gioco del golf.
“Il golf non è solo un passatempo o uno sport, il golf è un viaggio della mente”, dice Updike. Il golf è dunque una metafora della vita, e si avvicina alla metafisica.
Di questi trenta racconti l’ultimo, Golf decembrino, è la descrizione perfetta del nostro golf di questi giorni, in cui le gare sono terminate, le sacche in sala sacche cominciano a sparire – giorno per giorno le vedi calare, come una marea che refluisce –, l’atmosfera si fa più ovattata e rarefatta. I pochi golfisti rimasti, quali rari nantes in gurgite vasto, hanno finalmente il campo tutto per loro.
Quel racconto è magico, e ne suggerisco la lettura per esteso. Ma eccone a seguire qualche estratto.
Così come il momento più magnifico di una giornata può arrivare solo al tramonto e la canizie portarci una felicità alcionia, il golf decembrino, fino al momento della prima neve, può sembrarci il golf più bello di tutto l’anno. I venti aspri e gli scomodi lie nel fango di aprile e maggio, il rough orrendamente folto in giugno, la ressa di giocatori in luglio e agosto, le ingannevoli piume d’oca e le foglie cadute in autunno… tutto è scomparso, dileguato, e il golf, sui fairway induriti dalle gelate, sembra tornare alla sua essenza austera e innocente.
In dicembre capita sempre qualche giornata abbastanza mite. La luce scintilla come un sottile guscio di ghiaccio sopra i rami spogli e grigi, il cielo è a strisce come un bacon blu, un tardivo stormo di oche selvatiche oscilla verso sud, e l’aria è ricca di ossigeno e felice di cederlo a qualche coraggioso sportivo. I partecipanti del foursome, ridotti magari a tre o a due, si incontrano davanti alla sede del circolo ormai chiusa con tanto di tavole di legno, divertiti all’idea di avere l’intero campo tutto per loro. Gli alberi nudi lasciano scoperti tutti i fairway che, visti dal primo tee, si succedono a zigzag uno dopo l’altro, avanti e indietro. Non ci sono tee-marker, né score e nemmeno i cart: solo uomini pazzi per il golf, coi berretti di lana in testa e due maglioni ciascuno, che si spostano a piedi. Il computer per calcolare gli handicap è stato staccato con la chiusura stagionale, così l’unico sprone a giocare bene è l’elementare senso della competizione umana: un semplice nassau per la pallina migliore o una posta di cinquanta centesimi, e il conto viene tenuto a mente dal commercialista o dal bancario in pensione del gruppo. Ti sembra, nel golf decembrino, di reinventare il gioco, ambientandolo in qualche primitivo reame precedente le moderne raffinatezze.
Ormai il nassau è deciso e il crepuscolo sta strisciando dagli alberi al fairway. L’allegro scambio di punzecchiature è cessato. Il ghiaccio è riuscito a entrarmi nelle scarpe da golf; non sento più le dita della mano destra e il freddo mi taglia il viso. È ora di smettere. La radio dice che domani nevicherà. “Butta le mani verso la buca”. L’ultimo swing sembra sferrato senza sforzo e la pallina svanisce dritta davanti a me, un punto grigio che si perde nel grigio, verso il luogo dove dovrebbe esserci la bandiera della diciottesima buca. Ecco, finalmente ho scoperto il segreto del golf che ho inseguito per questi sette mesi. Adesso, il trucco sta nel tenerlo a mente, per tutti i mesi che dovrò passare al coperto, e sperare che tutto non si squagli.