Quattro birdie nelle ultime cinque buche del torneo, sei nelle ultime otto: se non sono sufficienti questi numeri a farvi amare la prestazione maiuscola a Memphis di Justin Rose, fresco vincitore del primo dei tre play off della FedEx del Pga Tour, allora voglio fornirvi qualche altra motivazione per osservare con un occhio di riguardo questo campione infinito.
Quarantacinque anni, professionista dal 1998, quando molti dei giocatori con cui combatte ogni settimana sul circuito americano non erano ancora nati, Justin Rose ci ha dimostrato che davvero “non è mai troppo tardi per vincere”, essendo divenuto domenica scorsa il più “anziano” ad aver alzato un trofeo nel 2025.
Non solo: in un mondo golfistico che vola sempre più veloce verso il predominio dei grandi picchiatori dal tee, l’inglese, con le sue 300 yards di media e il suo 128simo posto nelle statistiche dal tee, ci ha ricordato che il golf non è fatto solo di martellate col driver, ma soprattutto di mille sfumature che solo i campioni veri sanno rendere così vivide da farle notare a occhio nudo anche a noi guardoni delle cose del green.
Quali sono? Il cuore, innanzi tutto: più le cose si fanno calde, più Justin entra “in the zone”.
E poi: il coraggio di prendersi dei rischi quando gli altri temporeggiano (come i tee shot millimetrici sopra l’acqua alla 18 e al playoff).
Ancora: la precisione vellutata con i ferri alle aste. Per non parlare poi della grazia nel saper accettare che le cose possano anche non andare come speravi, per poi però ripartire subito con il focus giusto.
Infine: il rifiuto della comfort zone. Come molti suoi connazionali (Poulter, Westwood, ecc), Rose avrebbe potuto facilmente accettare i milioni arabi, ma ha preferito non delegare il suo potenziale e il suo talento al potere del nulla travestito da oro. Piuttosto ha deciso di continuare a battersi come un leone: da allora ha collezionato due vittorie sul Pga Tour e due secondi posti all’Open Championship del 2024 e al Masters di quest’anno, oltre a una vittoria epica a Roma in una Ryder Cup voluta e cercata a tutti i costi e a una sicura convocazione nella squadra europea di questa stagione. Il tutto mentre la maggior parte dei suoi coetanei si è omologata al pensiero dei più, di quelli senza passione che per giustificare la loro resa ti raccontano che a quell’età non c’è più spazio nell’Olimpo del golf. Ed eccoci dunque alla qualità magica di Justin Rose: la sua meravigliosa “discutibilità”, nel senso positivo del termine, ovviamente. Voglio dire: chiunque ti faccia discutere per il suo comportamento, la sua visione, la sua cocciutaggine, il suo stile di vita, la passione per ciò che ama fare, chiunque insomma si allontani da una qualsiasi resa mentale ancora prima che fisica, chiunque rifiuti la comodità che è appagante ma che ti trascina inesorabilmente verso il fondo, ecco chiunque abbia queste qualità, se non fa del male al prossimo, è un campione. E Justin Rose lo è, anche e soprattutto per questo motivo.