Si dice che tutti i comici sono comici, perché qualcosa nella loro vita è andata orribilmente male. E, in effetti, a leggere le ultime news circa Patrick Reed non si può fare a meno di annuire alla teoria di cui sopra.
Ora, prima di entrare nel merito della questione, procediamo con ordine: pochi giorni fa un giudice federale della Florida ha rigettato le accuse mosse dal campione americano, ormai di stanza sul circuito saudita del LIV, nei confronti di svariati giornalisti e di alcuni mass media, colpevoli secondo il texano del peccato originale di diffamazione nei suoi confronti.
In sostanza Reed chiedeva un risarcimento monstre di 750 milioni di dollari da parte di Brandel Chamblee, Damon Hack, Eamon Lynch, Shane Bacon, Golf Channel, Golfweek, e, per non farsi mancare proprio nulla, pure da parte dell’editore Condé Nast: a sentire Patrick, tutti loro, attraverso articoli, interviste e telecronache sportive, avrebbero nel tempo infangato pubblicamente la sua figura a causa della sua scelta di aderire al LIV (oltre ad altre “figuracce” accadutegli in campo).
Purtroppo per Reed la causa è stata rigettata dal giudice Timothy Corrigan, in quanto il fatto non sussiste avendo gli accusati semplicemente esercitato nella loro professione il sacrosanto diritto alla libertà di parola. Ed è proprio qui che sta il lato comico della vicenda di Patrick Reed: che la causa intentata negli Stati Uniti da un campione che ha scelto di sua sponte di giocare per un circuito foraggiato da un governo che non permette la libertà di espressione sia stata rigettata proprio per il rispetto del fondamentale principio della libertà di parola.
Morale: la democrazia forse non ci renderà ricchi, ma certamente ci permette di essere liberi di pensarla diversamente. E, tutto sommato, questa è già una gran bella ricchezza.