La lettera delle Olimpiadi di Rose Zhang

La lettera delle Olimpiadi di Rose

Giorni di Olimpiadi, telecronache infinite e poco tempo per il resto, a parte lo studio dei profili degli atleti, ma soprattutto delle atlete (sono quelle che conosco di meno).

Stavolta voglio chiamarli così. Atleti, atlete.

Non lo impone il format delle Olimpiadi, ne tantomeno la tuta della propria nazione vestita sul podio al posto della polo super sponsorizzata. Me lo suggerisce la mano tremante della ragazza malese sul green della 1 del percorso Albatross, il lungo respiro della francese Perrine Delacour, le labbra che accennano il sorriso prima di un tee shot di  Alessandra Fanali e tanti altri piccoli gesti che solo una persona che sta cercando di abbassare la tensione potrebbe fare.

Ma qui non si tratta solo del momento contingente, perchè molti degli atleti e delle atlete hanno già vissuto la pressione di un torneo, il putt per vincerlo o il colpo del turning point.

Si tratta di quello che rappresenta una medaglia e di tutti gli anni di lavoro, dedizione, crescita personale, percorso familiare fatto prima di arrivare a questo momento.

In tantissimi hanno pianto (vedi Scottie Scheffler, ma anche Alcaraz e Dijokovic nel tennis rispettivamente il perdente e il vittorioso) Altri hanno meditato, altri hanno elaborato, alcuni hanno scritto.

Ed è proprio in quei piccoli ritagli di tempo (fra Olimpiadi) che mi capita fra le mani una lettera scritta da Rose Zhang che volevo condividere con Voi. A me è sembrata bellissima e mi auguro che ogni ragazza o ragazzo che gioca a golf e che spera in un futuro nello sport la possa leggere.

Rose è già il futuro.

Ha alle spalle una delle carriere amatoriali di maggior successo della storia, avendo vinto due titoli del campionato individuale di golf femminile NCAA (2022, 2023), due premi ANNIKA consecutivi (2022, 2023) e una vittoria all’Augusta National Women’s Amateur del 2023, tra molti altri riconoscimenti.

Questa è la sua

LETTERA DA PARIGI

Voglio iniziare con una storia che parla di qualcosa di illegale. Forse non dovrei. Ma è uno dei miei ricordi preferiti. Nel quartiere in cui sono cresciuta, nel sud della California, c’era questa enorme area in costruzione. Tutte queste case venivano costruite su un enorme appezzamento di terreno vuoto e avendo nove anni, direi che fosse la cosa più grande che avessi mai visto. Stavo iniziando da poco con il  golf, e da poco ero stata “promossa “ dal colpire i tappi di bottiglia nel cortile, alle palle vere. Quindi mio padre mi avrebbe portato presso  questa enorme area in costruzione con un tappetino, alcune mazze e alcune palle.

Riesco ancora ad immaginarlo: il deserto che si estendeva all’orizzonte. Case su entrambi i lati e in mezzo centinaia di metri di terra. Un buon primo campo pratica. Tiravo le palle al tramonto e mio padre guardava. Salivamo in macchina, guidavamo attraverso le sterpaglie e raccoglievamo tutte le palle che riuscivamo a trovare. Poi ricominciavo.

Ora sono a Parigi, mi preparo a rappresentare gli Stati Uniti alle Olimpiadi. E quella posto nel deserto sembra lontano. Ma ogni volta che scelgo un ferro dalla sacca, riesco a sentire quello che provavo. Perché prima dei tornei e dei viaggi e delle interviste e tutto il resto – ero solo Rose.

Una strana bimba che andava in bicicletta per il quartiere raccogliendo rocce e accarezzando ogni cane che incontrava. Sotto tanti aspetti, sono ancora lei, solo il campo pratica di questa settimana a Le Golf National è molto più bello di quello là…

Passavo molti giorni a girare nel quartiere con mio fratello, e ricordo che era un grande fan di Steph Curry. Eravamo nella California del Sud ma ci piaceva guardare lui e i Warriors. Era, ed è ancora un giocatore così incredibile. Poi quando sono diventata un po’ più grande, più lo guardavo, più mi rendevo conto di quanto fosse anche lui una grande persona. Dalle sue interviste e dalla sua presenza online  si poteva capire che fosse un buon padre di famiglia, un compagno di squadra premuroso.

Ci ho pensato molto ultimamente, specialmente come qualcuno che sta arrivando alle stesse Olimpiadi di Steph. Quanto è importante essere una brava persona nella società. Voglio essere molto più della semplice golfista come alcune persone potrebbero conoscermi.

Ricordo da bambina, probabilmente non molto tempo dopo aver iniziato a praticare nel deserto, chiesi al mio allenatore: “Quando vincerò un trofeo?” Quella sensazione che il risultato sia tutto …con tanto a cui pensare, non importa a che età. Allora ero davvero solo la golfista. Avevo le mie altre cose e la mia bici e la mia famiglia e tutto il resto. Ma il golf junior prendeva molto tempo. Io e mio padre viaggiavamo in tutta la California e nel resto del paese per giocare nei tornei e cercare di migliorare il mio ranking mondiale.

Tornavo a casa dopo qualche settimana e andavo a scuola a con i miei amici, e facevano tutte queste battute che capivano solo loro. A 15, 16 anni, sentivo una sensazione di isolamento. Penso di aver perso quella normalità. Il golf junior, in qualche modo, può essere più estenuante del golf professionistico.

Io e mio padre lavoravamo molto duramente per cercare di poter entrare in un buon college e avere una carriera professionistica. Mia madre non sapeva molto dello sport, ma era sempre la prima persona da cui andavo per un abbraccio o un discorso di incoraggiamento. Eravamo una buona squadra.

I miei genitori non si preoccupavano molto dei miei voti o dello stress per la mia etica del lavoro. Volevano solo che facessi il mio lavoro per poi andare a divertirmi. Questa è stata la cosa importante per loro. Volevano che mi godessi la mia infanzia nel miglior modo possibile. E il nostro legame era così forte che quando è arrivato il momento di andare al college, penso di aver capito che fosse necessario diventare più indipendente.

Stanford era il posto perfetto per questo. Ricordo di essere andata a visitare il campus e di essere rimasta molto intimidita. Sembrava enorme. Lì ho incontrato Anne Walker, la nostra allenatrice di golf, e mi ha fatto sentire come se fossi nel posto giusto. Ed era abbastanza lontano da casa che sentivo di poter fare le mie cose, che potevo essere me stessa come individuo.

La Walker ha fatto un lavoro incredibile nel lavoo con il nostro gruppo per riunirci tutti. Rachel Heck, la mia compagna di squadra e uno dei miei amici più cari ancora oggi, eravamo il numero 1 e il numero 2 nella classifica mondiale del golf amatoriale. E penso che alcune persone potrebbero supporre che ci fosse gelosia o una rivalità, ma non era così. Ci siamo spinti a vicenda, sì. E tutta la nostra squadra era così a suo agio l’una con l’altra.

Molto di quello che sono oggi, come persona e come golfista professionista, è grazie al tempo passato a Stanford. Sono così fortunata a poter chiamare Michelle Wie West un’amica. Laureata a Stanford è stata un mentore per me. Quando stavo parlando con l’allenatore Walker per passare professionista, ho avuto molte esitazioni. Volevo laurearmi. Volevo continuare a giocare con la squadra, continuare a crescere come persona. E ho finito per connettermi con Michelle e conoscere la sua esperienza.

Un giorno stavamo parlando al telefono e lei stava raccontando come è passata professionista rimanendo al college per ottenere la laurea.

Ha detto: “Perché non fare entrambe le cose?”

E io“…. Perché non fare entrambe le cose? Se l’hai fatto tu posso farlo anche io!”

E lei, “Esattamente!!!”

E questo è stato.

Sono diventata professionista non molto tempo dopo, e il mio primo torneo è stato il Mizuho Americas Open. Michelle è la testimonial della gara, quindi è stata una settimana davvero speciale. Essere in grado di giocare il mio primo torneo da professionista  di fronte a lei, ai miei amici e alla mia famiglia è stato incredibile. E poi vincerlo!!!!! Al di là di ogni aspettativa. Sembra ancora surreale solo a pensarci.

Ma sai cosa c’è di divertente, mi ricordo che dovevo tornare subito a Stanford per i miei esami finali. Il torneo era nel New Jersey, quindi dopo la vittoria subito alla Borsa di New York per suonare la campana di inizio contrattazioni, poi Good Morning America, interviste e poi, un esame di statistiche in California.

Gli ultimi due anni sembrano un po’ sfuocati, a volte. Ma essere qui alle Olimpiadi a Parigi, indossare la divisa USA, rappresentare la nazione.  È davvero un momento unico.

Sono grato a ogni persona che mi ha aiutato in questo percorso.

Sono entusiasta di competere, per mostrare al mondo chi sono.

Sarò sempre quella bambina che tira colpi nel deserto, ma la persona che sono ora è anche molto di più.

E non vedo l’ora che tutti voi la incontriate.

—Rose

 

Olimpiadi di Parigi 2024


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