Venerdì mattina sono stato a giocare all’Olgiata.
Immancabile la commozione nel rivedere il campo ed i luoghi dove ho passato diversi anni, prima del passaggio al professionismo.
Nell’attraversare i vecchi locali del Caddy Master non poteva non saltare all’occhio la splendida palestra, una volta sede del rimessaggio delle sacche.
Poi scendendo al piano di sotto a ridosso del green della 18, la mia attenzione viene rapita da alcune foto in bianco e nero.
Una di queste in particolare raffigurava un carry board con i nomi di Lee Trevino, Julius Boros, Roberto Bernardini e Alfonso Angelini.
Si trattava della World Cup giocata proprio qui a Roma all’Olgiata nel ’68.
I canadesi con Al Balding e George Knudson misero tutti in fila. Stati Uniti secondi, l’Italia terza.
Ma l’associazione di idee è stata immediatamente palestra- Lee Trevino.
Mi ricordavo infatti di un aneddoto relativo al suo regime di fitness insolito.
Per la maggior parte della sua carriera, l’unica preparazione di Trevino per le gare avveniva all’arrivo nella sede del torneo.
“Andavo alla gara”, ha detto. “Avrei giocato un torneo, poi avrei giocato il prossimo, poi ancora quello dopo, mi sarei preso una settimana di pausa e poi sarei tornato a giocare . Preparandomi in campo pratica.”
Tuttavia, Trevino fece un’eccezione per il 101mo Open a Muirfield nel 1972, tale fosse la sua determinazione a difendere il torneo vinto l’anno precedente a Royal Birkdale.
Non sorprende che i preparativi di Trevino non fossero proprio ortodossi
Oltre a giocare nei venti texani di El Paso indossando occhiali protettivi, per evitare che la sabbia finisse nei suoi occhi, chiamò la figlia di un professionista del golf locale per seguirlo con un golf cart in modo tale da poter correre fra un colpo e l’ altro durante il giro.
“Correvo 18 buche”, disse Trevino. “Tiravo il drive, partivo correndo, lei aveva un car e mi seguiva. Colpivo il secondo colpo, e correvo. E lo feci per 18 buche al giorno, per rimettermi in forma.
“Poi nel pomeriggio avrei giocato a golf improvvisando. Non avrei mai colpito il ferro corretto per quella distanza. Per un colpo da ferro 7, avrei tirato un ferro 5, impugnandolo più corto e tirandolo con una traiettoria più bassa. Se fosse stato un 5, avrei giocato un 3 sempre allo stesso modo, ed è su questo che ho praticato per tutto il tempo.”
“Sono andato a Muirfield, ma purtroppo ho trovato giornate da 35 gradi senza vento!!”
Tuttavia, il lavoro di Trevino apparentemente ebbe l’effetto desiderato poichè riuscì a riportare la Claret Jug a casa.