Questa è la settimana. Per un golfista seriamente appassionato del gioco, per qualcuno che dà peso alla storia del golf e non solo al gioco moderno, il British Open è la gara. In aggiunta, per noi italiani il peso del British Open rispetto agli altri major è nettamente superiore: per la vittoria di Francesco Molinari nel 2018, certo, ma forse anche più per le gesta epiche di Costantino Rocca nel 1995 che hanno indicato la strada; né possiamo dimenticare la silver medal di Matteo Manassero nel 2009.
Il British Open – ovviamente – è pieno di storie; ma ce ne sono alcune che stanno in cima alle altre. Una di queste è sicuramente la vittoria di Severiano Ballesteros nel 1984 a St. Andrews. Ora quella storia è stata raccontata in modo immaginifico e magistrale in questo libro, uscito pochissimi giorni fa. La scrittura dell’autore, Kenny Reid, è brillante, penetrante, coinvolgente, intensa. Il volume è incentrato su quella settimana, ma parte da molto lontano – precisamente dalla spiaggia di Pedreña, dove Seve a partire dal 1964, a sette anni, e senza nulla sapere di fade e draw e compagnia cantando, iniziò a immaginare i colpi che lo avrebbero reso immortale – e nel contempo arriva molto lontano – fino al 2007, quando il gioco di Seve alla sua ultima apparizione al Masters non era nemmeno lontano parente di quello espresso nei decenni precedenti, e al 2012, quando l’autore arriva a Pedreña alla ricerca delle radici del suo personale mito.
The beaches, the wind, the rain, the sand, the turf, his passion, these are the young Severiano Ballesteros’s instruction manual.
La lettura del libro ti immerge nel mondo di Seve, fatto di colpi impossibili e di sconfitte brucianti, di recuperi che nessun altro golfista avrebbe potuto immaginare e della passione dell’uomo diventato mito. Ho anche avuto la possibilità di porre qualche domanda all’autore, qui a seguire.
Come è nata l’idea del libro?
Io c’ero! Dall’inizio della settimana fino al putt finale, ero all’Open. La vittoria di Seve, quel momento, la gioia e l’estasi collettiva rimarranno per sempre uno dei momenti più belli della mia vita. È stato davvero fantastico per il quattordicenne che ero.
Nel 2009 avevo scritto un articolo su quel giorno del 1984 e Mike Harris di “Golf Monthly” si era complimentato e mi aveva suggerito alcune modifiche da apportare in vista di una possibile pubblicazione sulla rivista; ma poi il progetto finì in secondo piano, perché in quello stesso anno ho assistito a tutti i major e ho scritto un libro al riguardo, che ha avuto un ottimo successo. Dopodiché mi sono messo alla ricerca di un altro progetto. E qualche anno dopo un vecchio collega ha avuto un piccolo ruolo in tutto questo: aveva avuto l’idea di scrivere di alcuni pugili dei tempi andati. È stata una specie di lampadina che mi ha spinto a intraprendere il progetto Seve Ballesteros, poiché mi sono reso conto che ero stato all’Open del 1984 e avevo già scritto qualcosa al riguardo. Come probabilmente dirà chi mi conosce, ho un’ottima memoria – non infallibile, peraltro – per nomi, luoghi e momenti.
Perché Ballesteros è stato il tuo idolo quand’eri ragazzo?
Seve era tutto ciò che tutti gli altri giocatori non avrebbero mai potuto essere: affascinante, carismatico, cupo, talentuoso, geniale, burrascoso, spesso vincitore e super-competitivo. Inoltre, si vestiva bene e maneggiava i bastoni come strumenti di un’arte raffinata. Altri giocatori avevano alcune di queste qualità, ma non tutte. E più ci penso, più mi sembra che non ci sia stato un altro golfista trascendente come lui. Ha messo il mondo del golf a soqquadro. Tiger Woods, ad esempio, sembra più una macchina da soldi, troppo transazionale.
E queste qualità di Seve Ballesteros lo hanno reso una specie di uomo qualunque. Aveva qualcosa di tutti noi, a volte giocava in base alle sensazioni del momento. Inoltre, come ho già detto, ho visto l’Open del 1984 con i miei occhi.
Ballesteros represented he idea that the unattainable could be achievable, that the impossible could be attempted and brought off.
Se dovessi scegliere un singolo colpo tra tutti quelli realizzati da Seve in gara, quale sarebbe? E perché?
Il secondo colpo alla 13 di Augusta nel Masters del 1986, trenta minuti prima del suo peggior colpo. Cito dal mio libro:
When next we see Seve he’s starting to address the ball, 195 yards from the hole. He takes his stance, the angles perfect. Perfect. Everything is impeccable, his black shoes, navy trousers and mid-blue polo shirt in contrast to the pristine whiteness of his visor and glove set against the verdant background of the Masters. The player’s dark-tanned face and arms, his posture added a feline grace. This was an elite golfer, ready. Six-iron. Ballesteros strikes the ball. Everything in concert, connected, flowing: up to the top of the backswing, the club almost perfectly parallel to the ground, just a few inches shy, exercising maximal power, retaining enough control. The forged, strong metal of his muscle-backed iron perfectly attacks the compressed, highly wound rubber, the noise of club on ball a loud, solid crack reverberating in the loblolly pines of Amen Corner. Seconds into the ball’s flight Seve’s brother, Vicente, reacts: ‘Fantastica, Fantastica!’ He knew what he was seeing and what he heard. The ball landed perfectly on the putting surface and ran out to about eight feet from the cup. Seve acknowledged the crowds as Vicente held his arm aloft, triumphal.
Provi nostalgia per quel tipo di golf immaginifico che non esiste più?
Assolutamente sì. Il golf di oggi è basato sulla potenza e sulla velocità, e anche il tocco del miglior giocatore è sopravanzato da movimenti grandiosi e ripetibili e dalla solidità psicologica. Ma cosa dire dell’estro, della sensazione, della creazione di un colpo, del tentativo impensabile o sconsiderato? E sicuramente nella vita e nel gioco non ci si può limitare a vincere e a essere impeccabili: altrimenti dov’è l’importanza di rimanere nel momento presente, dell’essere umani e di commettere errori? Perdere, ma investire l’intero sé nella propria passione? E poi tutte le cose finiscono, la natura tende all’entropia. Lo dico anche dopo aver visto Jasmine Paolini a Wimbledon sabato scorso: ha dato il massimo, non si è mai arresa. Gli esseri umani non possono sempre vincere. Molta della genialità di Seve è stata messa in risalto dalle sue manchevolezze e dai suoi fallimenti: è così che funziona la vita, e noi condividiamo le sue imperfezioni.