Manassero e l’elogio della lentezza

Per noi creature impazienti che vivono al ritmo frenetico dell’internet, la lentezza è dura da accettare, perché comporta impegno, pazienza e perseveranza, doti che nel tempo in cui esistiamo del “fai un click e avrai il mondo in mano” sembrano essere oramai del tutto inutili. E però, mannaggia alla frenesia, così vanno per davvero le nostre vite: gran parte del loro profondo cambiamento è costruito da una crescita che nulla ha di teatrale, di scenografico e, soprattutto, di immediato, perché il vero mutamento, quello profondo, esiste solo nella lentezza.

E dunque deve essere soprattutto questa la lezione che tutti noi possiamo trarre dalla storia meravigliosa di Matteo Manassero, un campione che è stato tanto rapido nella scalata ai vertici mondiali del golf, quanto è stato (purtroppo) lesto nel finire del dimenticatoio dell’Alps Tour: che a volte il nemico del successo è il successo stesso, soprattutto quello ottenuto troppo velocemente. E che, in un mondo che ci accelera costantemente intorno, la risposta migliore per ritrovare noi stessi è quella di rallentare. Non importa quanto, non importa per quanto tempo. Anche per 10 anni e otto mesi. Perché in un mondo in cui le tendenze durano meno di un quarto d’ora, chi è capace di scendere dal treno della velocità e di abbracciare la perseveranza necessaria a plasmare il futuro a propria immagine e somiglianza è colui che trova il vero se stesso. Nel caso di Matteo, un grande campione.


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