Mi sento in obbligo di dedicare un pensiero agli spettatori, e al tifo “da Ryder”.
Lo definisco volutamente così perché unico al mondo.
E’ il colore dell’evento, rumoroso, ma esperto, senza eccessi, ma molto folkloristico.
E’ sempre stato e sempre sarà l’anima della sfida.
Una Ryder Cup senza tifosi perderebbe quasi completamente di significato.
Iniziando dal tee della 1, che negli anni è si è tramutato in un vero e proprio anfiteatro (leggi l’articolo di Stefano Mora) pronto ad accogliere i giocatori e sostenerli, a dar loro la carica, ma anche a metterli inesorabilmente sotto pressione.
Chiedete a Bob McIntyre la mattina della prima giornata come si sentisse.
“Stavo quasi piangendo uscendo dal driving range.”Ma dopo le foto di rito e la presentazione Justin ( Rose n.d.a.) si è avvicinato, mi ha messo il braccio sulla spalla è ha detto: ‘andrà tutto bene, finirà tutto tra due minuti e mezzo’.
“E’ stato straordinario, così esperto, mi ha fatto mantenere la calma , si è fidato di me, ha creduto in me”.
Le urla, i canti, le prese in giro si susseguono con una perfetta conoscenza dei tempi. Sia quelli musicali che quelli di gioco.
L’organizzazione del tifo va oltre. Gli abiti, i nomi dei gruppi e le canzoni scritte e studiate a memoria. Anche questo è lo spirit of the game.
Come lo spirito di Severiano Ballesteros. Sempre presente. Ovunque.