Prima o poi succede.
Succede a tutti.
In allenamento giochi libero. In gara giochi giudicato.
Lo swing non risponde. Il putt trema. La testa corre più veloce delle mani.
Non è una giornata no. È un momento buio.
E il golf, spesso in quei momenti, non perdona
In allenamento: il cervello è tuo alleato
Durante la pratica siamo immersi in un contesto che è “sicuro”. Nessuna classifica, nessuna conseguenza immediata. Il sistema nervoso resta stabile, l’attenzione è ancorata al gesto e il movimento emerge in modo automatico.
Giochi fluido perché non stai difendendo nulla.
L’errore non mette in discussione chi sei, né come persona né come golfista. Il corpo esegue ciò che ha già imparato e il risultato arriva come una naturale conseguenza, non come un obiettivo da inseguire.
Nel golf, però, succede anche un’altra cosa particolare.
In allenamento il contesto è spesso molto diverso da quello reale di gara: si colpisce dal tappetino, oppure dall’erba con la pallina sempre sistemata. Le condizioni sono controllate, prevedibili, ripetibili.
Il cervello si adatta a quel mondo lì.
Cosa può accadere poi in gara?
In gara giochi fermo.
E da fermo, pensi. Troppo, talvolta.
La psicologia lo chiama rimuginio: la mente ripete l’errore appena fatto e anticipa ciò che teme.
Le neuroscienze su questo sono chiare: più pensi all’errore, più attivi l’amigdala. Più l’amigdala è attiva, meno controllo motorio hai.
Risultato: meno fiducia, meno fluidità, più errori
Un loop perfetto. E devastante.
Perché questo accade?
Quando l’attenzione si fissa in modo ossessivo su un errore, il cervello entra in modalità allarme.
L’amigdala, struttura chiave del sistema limbico, interpreta il rimuginio come un segnale di minaccia, attivando emozioni legate a paura e ansia.
Da quel momento il sistema si sbilancia.
L’aumento dell’attivazione emotiva innesca la risposta allo stress: adrenalina e cortisolo salgono, mentre l’efficienza della corteccia prefrontale diminuisce. Ed è proprio la corteccia prefrontale a gestire pianificazione, decisione e controllo motorio fine.
Il risultato è paradossale ma prevedibile:
più cerchi di pensare al movimento, meno lo controlli davvero.
È il meccanismo alla base del choking under pressure: l’eccesso di analisi interrompe l’automatismo, la mente invade il gesto e la prestazione crolla.
Non perché il corpo non sappia cosa fare, ma perché il cervello, sotto stress, smette di lasciarglielo fare.
Quando inizi a controllare, hai già perso !
Ed è qui che il golf che funzionava in allenamento smette di esistere.
L’uscita dal buio non è un nuovo swing
Nei momenti bui:
- più tecnica = più confusione
- più controllo = meno performance
Il problema non è lo swing. È lo stato mentale con cui lo esegui.
Cosa funziona davvero quando conta
La via d’uscita passa da altro:
Presenza: stai nel colpo. Non nel risultato.
Accettazione: l’errore attiva l’apprendimento motorio. Resistergli lo amplifica. Accettarlo lo integra.
Regolazione emotiva: le emozioni non sono nemici. Impara a swingare le emozioni.
Pensiero funzionale: un errore è informazione, non una condanna.
Il golf non è gentile. È onesto.
Il golf non ti chiede di essere perfetto. Ti chiede di essere presente.
Se vuoi giocare in gara come giochi in allenamento, devi allenare la pressione.
Allenare la regolazione emotiva e il corpo che si attiva.
Allenare la mente a restare stabile quando il risultato pesa.
Nei momenti bui non devi giocare meglio. Devi pensare meno e sentire di più.
Giudicarti di meno.
Perché il colpo che ti definisce non è quello che sbagli. È quello che scegli di giocare subito dopo.
E lì, esattamente lì, il golf smette di essere solo uno sport. E diventa uno specchio.
#samanthabernardi
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