Ryder Cup 2025, Europa o USA? Analisi e pronostico finale.
La Ryder Cup non è un torneo di golf: è un rito collettivo. L’unico momento in cui il silenzio sacro dei green viene spazzato via da cori da stadio, bandiere che sventolano e migliaia di voci che accompagnano ogni colpo. Per tre giorni i giocatori smettono di essere individui, non sono più soli contro il leaderboard o contro sé stessi: diventano parte di un ingranaggio più grande, Europa contro Stati Uniti. Qui non contano i milioni guadagnati in carriera, non contano i Major vinti o il ranking mondiale. Conta solo il cuore. Conta se riesci a imbucare un putt da un metro con quarantamila persone che ti urlano addosso. Conta se hai il sangue freddo di tirare un ferro perfetto quando la pressione ti stritola lo stomaco.
È l’evento che ha scritto pagine epiche dello sport: dal “Miracolo di Medinah” del 2012 alle magie di Seve Ballesteros negli anni Ottanta, fino alle lacrime di Rory McIlroy a Roma nel 2023. Ogni edizione è una storia di nervi, di eroi improvvisi e di crolli inattesi. La Ryder Cup è l’essenza stessa del dramma sportivo: imprevedibile, viscerale, capace di trasformare un rookie in leggenda e un campione affermato in un uomo vulnerabile. È per questo che la aspettiamo più di ogni altro evento: perché qui il golf smette di essere solo golf, e diventa emozione pura.
Il campo: Bethpage Black, il mostro di Long Island
Benvenuti a Bethpage Black, forse il campo pubblico più iconico e spietato d’America. Inaugurato nel 1936 e firmato A.W. Tillinghast, il Black è un percorso par 70 lungo 7.352 yard. Il cartello all’ingresso è già leggenda: “Warning: The Black Course is an extremely difficult course which we recommend only for highly skilled golfers.”
Per la Ryder Cup lo hanno reso ancora più cattivo: rough oltre i 10 cm, fairway ristretti a meno di 25 yard in alcuni punti, green resi più duri e veloci con stimpmeter attorno a 12.5. I bunker sono trappole vere: profondità media oltre i 2 metri, posizionati proprio a difesa dei lay-up. Il pubblico avrà accesso diretto a diverse aree vicino ai green, trasformando certe buche in vere arene romane. Un dato: alla scorsa edizione del PGA Championship (2019), il campo ha concesso solo il 52% di fairway hit in regulation e un punteggio medio di quasi 73 colpi al giro. Tradotto: qui anche un semplice par può valere come un birdie e regalare più buche vinte rispetto a quanto visto a Roma nel 2023.
Stati Uniti: un mix pericoloso
Non illuderti: gli Stati Uniti non arrivano qui come una corazzata invincibile, ma come una squadra in costruzione, con luci forti ma anche zone d’ombra. Il roster 2025 unisce alcune certezze consolidate a quattro “rookie” chiamati al battesimo del fuoco: Ben Griffin, J.J. Spaun, Russell Henley e Cameron Young saranno all’esordio in Ryder Cup.
Il capitano Keegan Bradley ha scelto poi Justin Thomas, Collin Morikawa, Patrick Cantlay e Sam Burns. Quindi l’equilibrio è delicato: i veterani forniscono stabilità, ma i giovani dovranno dare linfa e coraggio.
Prendiamo il caso di Spaun: con la vittoria al U.S. Open nel 2025 ha guadagnato fiducia e un posto nel team dei “most consistent performers” sulla base dei guadagni nei tornei e delle classifiche interne. O Cameron Young: newyorkese, ha dimostrato feeling con Bethpage (ha vinto da amateur qui) e potrà usare quel legame come spinta emotiva.
Insomma: sì, c’è talento smisurato (Scheffler, Schauffele, DeChambeau…), ma anche l’insicurezza che accompagna chi ha poca esperienza match play. L’ago della bilancia potrebbe pendere, come spesso succede, sulla capacità dei rookie di non perdere la testa nei momenti decisivi.
Europa: continuità e collaudo
L’Europa si presenta a Bethpage con un blocco quasi identico a quello che ha dominato a Roma nel 2023. Rory McIlroy, Jon Rahm, Viktor Hovland e Tyrrell Hatton restano le certezze assolute: colonne portanti, trascinatori e punti fermi di un gruppo che ormai si conosce a memoria. Accanto a loro ci sono i veterani Tommy Fleetwood e Justin Rose, uomini di esperienza che hanno dimostrato negli anni di avere i nervi più saldi proprio nei momenti caldi.
La nuova linfa non è più inesperta: Ludvig Åberg non è più una scommessa ma una realtà, dopo aver incantato già alla sua prima Ryder Cup. Rasmus Højgaard, con la sua freschezza e aggressività, rappresenta quella scintilla in più che può sorprendere gli americani. Sepp Straka, glaciale e solido con i ferri, è l’uomo che può diventare fondamentale nei foursome più tattici.
Luke Donald ha deciso di non stravolgere nulla, confermando l’ossatura che ha riportato la coppa in Europa e inserendo pochi ma mirati innesti. La forza sta nella continuità e nella chimica: questo è un gruppo che si conosce bene, che ha già vinto insieme e che non si lascia intimidire dal tifo ostile.
Probabili coppie? Alcune sono quasi scritte. McIlroy–Fleetwood hanno già mostrato di avere un’intesa naturale. Rahm–Hatton formano una coppia esplosiva targata LIV: talento e aggressività, con la capacità di accendere i match sin dalle prime buche. Hovland–Åberg, la Scandinavia che non sbaglia, è una combo che unisce potenza e freddezza nordica. E non è da escludere l’esperienza di Rose messa al fianco di un giovane come Nicolai Højgaard, per bilanciare energia e calma.
Statistiche e chiavi di lettura
Driving Accuracy – A Bethpage il tee shot è una questione di sopravvivenza. Nel PGA Championship 2019 la percentuale media di fairway colpiti fu appena 52%, tra le più basse mai registrate in un Major negli ultimi vent’anni. Scheffler e McIlroy, che viaggiano oltre il 61% di driving accuracy stagionale, partono avvantaggiati. Diverso il discorso per Bryson DeChambeau: il suo stile “bomb and gouge” funziona su campi aperti, ma qui rischia di trasformare il rough in una condanna. Nei practice round ha persino provato a drivare la buca 1 tagliando dogleg, alberi e tribune: spettacolare, sì, ma anche un azzardo che in Ryder può costare caro.
Gioco con i ferri lunghi– Bethpage è un campo da colpi medi e lunghi, e non perdona la minima imprecisione. Nel 2019, i giocatori che hanno chiuso in top-10 guadagnavano in media +1,2 colpi per giro sui colpi da 175 a 225 yard. Per capirci: chi teneva la linea da quelle distanze guadagnava terreno, chi no, accumulava bogey. Qui entrano in gioco i “ball striker” puri: Rahm (top-5 al mondo nei colpi oltre le 175 yard), Hovland (tra i primi dieci per GIR da lunga distanza) e Schauffele, macchina di precisione con i ferri.
Around the Green & Putting – Non basta arrivare vicino: bisogna salvare il par in condizioni difficili. Nel 2019 la percentuale media di scrambling fu appena il 51%. Negli ultimi tre edizioni della Ryder, il fattore più correlato alla vittoria è stato lo “strokes gained putting”: chi guadagna sul green vince, punto. Fleetwood ha una media Ryder Cup di +0,45 SG putting per giro, Rose ha imbucato oltre l’80% dei putt sotto i 2 metri nelle sue apparizioni. Di là, gli americani rookie dovranno dimostrare di saper reggere quando il rumore del pubblico ti entra nella testa.
Momentum – La storia parla chiaro: i primi foursome indirizzano la settimana. Dal 1999 in poi, la squadra che ha vinto la sessione inaugurale ha portato a casa la coppa nel 70% dei casi. Nel 2012 a Medinah, l’unica grande eccezione, l’Europa ribaltò tutto la domenica con un miracolo irripetibile. Bethpage, con il suo pubblico newyorkese pronto a trasformare ogni putt americano in buca in un boato da stadio, renderà quei match iniziali ancora più pesanti sullo score finale.
Stamina & Resistenza – Bethpage non è solo duro tecnicamente: è un campo fisicamente estenuante. Nel 2019 il tempo medio di un round superava le 5 ore e 20 minuti, con saliscendi continui e rough impegnativo. Tre giorni di match play su un percorso del genere logorano anche i più preparati. Qui il fattore “resistenza” potrebbe diventare decisivo: chi arriva scarico alla domenica paga pegno.
La psicologia
Non dimentichiamoci l’effetto pubblico. Bethpage sarà un’arena ostile come poche per l’Europa. I newyorkesi non hanno la fama di spettatori educati e silenziosi: fischi, cori, provocazioni sono garantiti. Per i rookie americani sarà benzina sul fuoco. Per i giovani europei, potrebbe diventare un ostacolo psicologico enorme. E qui entra in gioco l’esperienza: McIlroy e Rahm sanno come reagire, i rookies europei dovranno impararlo in fretta.
Dove finisce la matematica, inizia la leggenda
Numeri, percentuali, grafici: tutto dice che il Bethpage Black sarà il vero protagonista di questa Ryder Cup. Il rough a 10 centimetri, il 52% di fairway colpiti nel 2019, i colpi da 175–225 yard che hanno fatto la differenza nei Major passati: è un campo che non regala nulla e che renderà ogni buca un piccolo dramma. Le statistiche ci suggeriscono che Scheffler e Schauffele hanno le armi giuste, che Rahm e Hovland possono dominare dal tee al green, che Fleetwood e Rose sono quelli che imbucano quando la pressione si fa insostenibile.
Eppure, la Ryder Cup non è mai stata solo numeri. La storia ci ricorda che a Medinah nel 2012 i dati dicevano “USA vincitori sicuri”, e poi arrivò il miracolo. Ci ricorda che a Brookline nel 1999 bastò un’ondata di momentum per ribaltare un destino già scritto. È questo il fascino crudele e meraviglioso della Ryder Cup: la matematica può farti capire come si vince, ma non potrà mai spiegare perché certi colpi entrano e altri no.
La mia previsione? Sarà un massacro sportivo, deciso dalla resilienza più che dal talento. Vedo un’Europa coesa, che conosce già sé stessa, contro un’America con Scheffler faro assoluto ma anche tanti esordienti da testare. La logica dice che i padroni di casa hanno il vantaggio. Il cuore, invece, continua a sussurrare che la chimica europea può resistere anche all’uragano di Bethpage.
Se devo sbilanciarmi: Europa 14 – USA 14. Un pareggio, e la coppa che resta nelle mani del Vecchio Continente.
Perché alla fine la Ryder Cup è questo: il confine sottile tra calcolo e follia, tra numeri e leggenda. E quando l’ultima pallina entrerà in buca la domenica sera, sapremo di aver assistito ancora una volta all’evento più bello del mondo del golf.