Quando ho preso l’handicap, alla fine degli anni ’80, il numero da battere era 100: l’handicap massimo era 28 e se tiravi meno di cento colpi ce l’avevi fatta. Al giorno d’oggi “cento” ha un po’ perso il suo valore simbolico, ma settanta, ottanta e novanta rappresentano ancora il parametro sulla base di cui si valuta la qualità del gioco alla fine di un giro di campo: se metti il 7 davanti hai fatto un buon giro, fino agli 85 è discreto, se ti avvicini troppo o superi i 90 più di qualcosa non ha funzionato.
Il mio handicap sulla carta è 5 e dovrei, più o meno regolarmente, girare sotto gli 80 colpi, ma la realtà è molto diversa: faccio pochissime gare singole valide per la variazione e avendo “in archivio” ancora qualche buon giro risalente ai primi anni Venti, il sistema di calcolo mi mantiene lì, dove tutto sommato non merito di stare. Se porto a casa un 82 mi ritengo soddisfatto, anche se spesso mi capita di tirarne di più ed essere comunque contento del mio gioco.
Ben Hogan disse una volta:
“Il golf è un gioco di colpi sbagliati: chi sbaglia meglio vince.”
La valutazione della mia prestazione dipende molto dagli errori che faccio: un 85 con tre tripli bogey (cosa molto frequente per me) è meglio di un 85 con 13 bogey: alla fine lo score è lo stesso, ma la percezione del gioco è molto diversa. Un paio di ganci fuori limite, una palla in bosco che ti fa perdere due colpi per tornare in fairway sono incidenti di percorso che si superano facilmente, lo stillicidio del “bogey-dopo-bogey” che si trascina per tutto il giro è quello che veramente ti affossa.
Diverso è il discorso per la “novantata”: quella è senza appello, non c’è possibilità di uscire dal campo e trovare una consolazione nei pochi colpi buoni se fai più di 90, perché i colpi buoni, se fai più di 90, sono veramente pochi. L’unica cosa che puoi fare è riderci sopra con i tuoi compagni di gioco e pagare da bere a tutti.
Ho imparato, negli anni, a giocare senza dare troppo peso al risultato finale, a divertirmi a tirare i colpi come li ho immaginati e proprio in questa idea di giocare a golf senza pensare allo score preferisco giocare match play, dove alla fine dei conti un triplo bogey è solo una buca persa. Ma anche con questa predisposizione mentale, il 90 è lì che aleggia minaccioso, perché sul campo da golf più che “la paura fa novanta” è 90 che fa paura.