The Open 2025: i dati parlano, il vento urla

The Open 2025: I Dati Parlano, il Vento Urla

Ci sono settimane in cui il golf si scrolla di dosso la perfezione patinata del professionismo moderno e riscopre le sue radici più autentiche: la natura, l’istinto, la fatica. Questa settimana è una di quelle settimane. Quando il circus lascia i prati scolpiti dell’America e si arrende alle dune, al vento e alla pioggia orizzontale dell’Irlanda del Nord, qualcosa cambia. Il golf torna umano. E crudele.

Nel 2025 il The Open torna a Royal Portrush, dove ogni swing ha una conseguenza e ogni decisione ha il peso di un finale di un romanzo. Dal 2019, quando Shane Lowry vinse tra lacrime e tempesta, il campo non ha perso nulla della sua ferocia. Anzi, è più affilato, più ruvido, più deciso a non regalare niente. I giocatori sono più forti, più allenati, più digitalizzati. Ma le regole di Portrush restano analogiche: qui non vince chi brilla. Vince chi resiste. E riesce a convincere il campo a lasciarlo uscire con la Claret Jug in mano. Ma solo se se la merita.

Royal Portrush, dove il vento ha la penna e scrive le classifiche

Sulla carta, il Dunluce Links è un par 71 di poco più di 7.340 yard. Nella realtà, è un labirinto di sfortuna e poesia. Il layout non ha bisogno di artifici: basta il vento, quello vero, che cambia direzione sei volte in una buca e ti fa pentire di ogni colpo tirato con troppa superbia. I green sono ondulati ma giusti, i fairway più stretti di quanto la televisione lasci intendere, e i rough… i rough sono luoghi dove la logica smette di esistere. A ogni Open il campo è protagonista, ma Portrush non è protagonista: è giudice. Secondo DataGolf, questo è uno dei percorsi con la più alta penalizzazione su punteggi medi quando il vento supera i 30 km/h, con un impatto medio di oltre 2,6 colpi sopra par. Qui il talento non basta. Serve umiltà, pazienza e un pizzico di follia controllata.

La buca 16, “Calamity Corner”, è la perfetta sintesi di tutto questo: un par 3 di oltre 230 yard in cui l’errore non ti costa un colpo, ma la buca intera e forse anche il risultato finale. Nel 2019 ha fatto più danni di un giro a Oakmont. E nel 2025 potrebbe decidere di nuovo il torneo.

I favoriti (ma senza Scheffler o Rory, per favore)

In un torneo così, i nomi più prevedibili spesso fanno la fine più crudele. Scottie Scheffler arriverà tra i primi 5 probabilmente, Rory avrà dietro tutta la nazione… ma sono le storie meno ovvie che meritano attenzione. Prendiamo Ludvig Åberg. Non è stato il suo anno migliore, ma pochi sanno colpire la palla come lui. E quando lo fa bene, il campo lo sente. Terzo nei colpi guadagnati tee-to-green da aprile a oggi, e soprattutto secondo nei “low ball flight gain”, cioè nella capacità di performare meglio quando la palla resta bassa. E su un links dove il vento taglia le traiettorie come lame, questo è il tipo di numero che fa la differenza tra uno score accettabile e una crisi di identità.

Poi c’è Tommy Fleetwood, che vive un’eterna storia d’amore non corrisposta con l’Open. Eppure, se c’è un luogo in cui la favola può scrivere l’ultimo capitolo, è proprio Portrush. Qui fu secondo nel 2019. Qui ha già dimostrato di saper ballare con il vento e ridere con il rough. Tommy non ha mai vinto un major, ma ha infilato cinque top 10 nei links negli ultimi sei Open. Ha il gioco corto di un artista e la faccia da chi ci crede ancora. E nel golf, crederci ancora è già metà del lavoro.

Il terzo nome è quello di Tyrrell Hatton, che sta giocando come se avesse firmato un patto con il diavolo… o con un coach molto paziente. Ha chiuso quarto all’US Open e, da inizio stagione, è top 5 per Strokes Gained Total nelle settimane con vento sopra i 20 km/h. È preciso, potente, e ha finalmente sta domando quel carattere da pentola a pressione che in passato lo tradiva sul più bello. E su un campo dove basta un attimo per rovinare una settimana, questa potrebbe essere la sua consacrazione.

Gli Outsiders

Nel mare dei pronostici triti e ritriti, spiccano quattro outsider che non fanno clamore fino a quando esplodono sul leaderboard.

Dean Burmester è la mina silenziosa più temuta. Nelle ultime otto settimane si è piazzato tra i primi dieci per Strokes Gained: Approach tra i giocatori fuori dalla top 50, con una media di +1,24 SG: Tee‑to‑Green condizioni ventose, un profilo su misura per uno scenario come Portrush Se trova ritmo nei primi due round, può diventare la rivelazione del weekend.

Jordan Smith, invece, è il calcolatore che non sbaglia quasi mai. Nel 2025 ha mantenuto una media di +0,56 SG: Off‑the‑Tee e centrato oltre il 70% di fairway, una combinazione letale su un campo dove la costanza è più preziosa di una bomba di drive.

A proposito di precisione chirurgica, entra in gioco Sepp Straka, l’austriaco fatto per l’efficienza. È quarto nel PGA Tour per SG: Approach (+0,865) e infallibile nei putt sotto i 5 piedi con oltre il 93%. Portrush lo vede, e potrebbe ricambiarlo con una grande settimana.

Ma la vera scheggia impazzita, la nostra carta matta, è Marco Penge, l’inglese da copertina… del più improbabile dei finali. Reduce da un secondo posto allo Scottish Open, a soli due colpi da Gotterup e alla pari con Rory. Penge ha un profilo da surfista del vento: colpi lunghi, discreta precisione e un gioco attorno al green che dialoga bene con le dune. In più, porta con sé la spinta emotiva di chi ha già dimostrato di reggere il confronto con i migliori. Se parte con fiducia, attenzione: può davvero ribaltare tutte le previsioni.

La gloria non arriva, si scava

The Open non è un torneo: è un racconto. Un racconto scritto in mezzo alla nebbia, tra fiotti di pioggia, bunker profondi come pensieri notturni e green che non ti perdonano nulla. Royal Portrush, poi, non è un semplice links: è un campo che giudica. Non premia chi si presenta con il sorriso da campione, ma chi scava con i denti nel rough e non molla nemmeno quando tutto sembra perduto. Qui si vince con il cuore più che con il track record. Con l’istinto più che con il coach. Con la pazienza, più di tutto.

Domenica pomeriggio, quando l’ultimo putt cadrà e l’Atlantico inizierà a riflettersi nella Claret Jug, il vincitore non sarà solo quello con il punteggio più basso. Sarà quello che ha saputo convivere col dubbio, con la pioggia, con la sabbia e con il silenzio. Sarà quello che ha guardato il vento in faccia e ha detto: “Fai pure. Io resto qui.”

E se quel nome sarà uno dei nostri, tu potrai dirlo con naturalezza: “Lo sapevo.”
E intanto sorridere, come chi ha visto prima di tutti dove tirava il vento.


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