Trackman sì o Trackman no?

Lo sappiamo benissimo tutti: viviamo ormai le nostre esistenze totalmente dominati dai numeri. Dagli algoritmi, per lo più, che sanno decidere in anticipo ciò che per loro è meglio per noi. Ma non solo: ci sono altri numeri che hanno effetti sulla nostra esistenza. Chessò, quelli legati all’Irpef, all’Iva, alla Tari, all’Imu, e chi più ne ha, più ne metta. Se poi si è pure golfisti, allora ci sono altri numeri e altri dolori: quelli legati all’handicap, alle virgole, al PCC, al course rating e via andare. Ma attenzione: l’esistenza dominata dai numeri non è solo una roba da vecchi boomer; è anche una cosa da giovani e pure da giovanissimi. E non sto parlando solo di numeri legati alle visualizzazioni o ai like, ma, se si è giocatori di golf under qualche cosa, allora le cifre che contano sono anche e sopratutto quelle legate ai ranking e -diamine!- al Trackman.

Eccoci al punto dolente, dunque: più giro in giro e ascolto coach ma anche professionisti, più mi raccontano di ragazzi e ragazzini totalmente assorbiti dall’oracolo matematico del Trackman. Oramai questi virgulti del golf hanno dimenticato che lo scopo del nostro sport è tirane il meno possibile, mentre si concentrano solamente sul verdetto di questa macchina infernale: mentre sono alla ricerca del club path perfetto, si scordano che lo score è fatto da mille altre variabili più importanti. Ragion per cui, vago per i campi e scorgo ragazzi e ragazzini dotati di un ottimo mono colpo, incapaci però di visualizzare una palla bassa contro vento, o un bump and run da sotto il green.

Sono gli stessi che trascorrono giornate intere al campo pratica a cercare il numero ideale di swing path, ma che se devono inventare un draw intorno a una pianta, apriti cielo!

Eppure il golf, e soprattutto lo score, sono fatti più da variabilità che da ripetitività, anzi, quest’ultima è un mito degli anni ’80 ormai caduto nella polvere dei dimenticatoi.

Voglio dire: il Trackman è un fattore chiave nello sviluppo del golf moderno, ma va preso con la giusta misura. E soprattutto deve essere uno strumento nelle mani dei migliori coach, ma non dei giocatori, che più che inseguire la soluzione matematica del problema dello swing perfetto, dovrebbero risolvere quello del come fare poco con lo score in tasca.

Quindi ragazzi, lasciate i numeri a noi boomer, mentre voi divertitevi a giocare, non a fare gli Stephen Hawkings del green.


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