Il piacere del gioco contro la paura di sbagliare: il ruolo del Genitore

“Non voglio sbagliare”, “Non voglio perdere”. 

Quante volte un genitore ha sentito queste frasi uscire dalla bocca del proprio figlio/a? 

Queste, così comuni tra bambini e giovani, rivelano una profonda avversione al fallimento e, talvolta, un desiderio di perfezione che rischia di soffocare il naturale processo di crescita. Eppure, è fondamentale comprendere che la nostra capacità di fallire è intrinseca alla nostra essenza. 

Dobbiamo custodire, coltivare e persino tenere cara questa peculiarità. È cruciale rimanere fondamentalmente creature imperfette, incomplete, intrinsecamente soggette all’errore.

In altre parole, è vitale che esista sempre un divario tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. Questo “spazio vuoto” non è una lacuna da colmare con ansia, ma il motore di ogni progresso. Qualsiasi realizzazione significativa nella storia, sia a livello individuale che collettivo, è stata resa possibile proprio grazie a questo “spazio vuoto”. È solo in questo spazio che le persone, gli individui e le società possono davvero realizzare qualcosa di grande.

Dalla scuola allo sport, dal mondo del lavoro ai social media, che spesso dipingono un’immagine di vite perfette e di costante successo, l’idea di fallimento è diventata quasi un tabù.

L’opinione comune è che il fallimento sia qualcosa da evitare a tutti i costi, poiché il successo deve essere raggiunto e i due non possono coesistere. Questa pressione onnipresente ad eccellere può creare nel giovane atleta un’ansia paralizzante, dove la paura di sbagliare o di perdere prevale sul piacere e sul valore intrinseco dell’esperienza sportiva e del gioco per i più piccoli. È in questo contesto che il ruolo del genitore diventa fondamentale, per aiutare il proprio figlio a navigare le aspettative e a riscoprire la gioia del gioco, accettando l’imperfezione come parte essenziale del percorso.

Cosa significa davvero “non voler perdere”?

Secondo la psicologia dello sport, la paura di perdere è una forma di ansia da prestazione. Studi come quelli di Martens et al. (1990) e Gould et al. (2002) mostrano che i giovani atleti, sotto pressione, sviluppano pensieri negativi legati al fallimento: “Deluderò i miei genitori”, “non valgo abbastanza”, “non sarò più considerato”.

In queste situazioni, il bambino o l’adolescente associa il proprio valore personale al risultato. E quando il risultato non arriva, si sente meno amabile, meno degno, meno figlio.

Ecco dove entri in gioco tu, genitore.

Il tuo ruolo non è vincere al posto loro. È sostenerli nel perdere

Come può, dunque, un genitore affrontare questa delicata situazione e aiutare il proprio figlio?

  • Rifocalizzare l’attenzione sul processo, non sul risultato: Invece di chiedere  subito”Hai vinto?”, è più utile domandare “Ti sei divertito?”, “Cosa hai imparato oggi?”. Questo sposta l’enfasi dall’esito alla crescita personale e all’esperienza.
  • Normalizzare l’errore: È fondamentale insegnare al bambino che sbagliare è umano e una parte essenziale dell’apprendimento. Raccontate loro i vostri errori e cosa avete imparato da essi.
  • Incoraggiare l’autocritica costruttiva, non distruttiva: Aiutare il figlio a riflettere sulla propria performance in modo oggettivo, senza giudizio. “Cosa avresti potuto fare diversamente?”, “Cosa hai imparato da quella situazione?”.
  • Promuovere un ambiente di supporto incondizionato: Il bambino deve sentire che l’amore e il supporto del genitore non dipendono dalla sua performance sportiva. La frase “Ti voglio bene comunque” è un pilastro fondamentale.
  • Evitare il confronto con gli altri: Ogni bambino ha il proprio percorso di sviluppo. Confrontare il proprio figlio con altri atleti può aumentare la pressione e alimentare la paura di non essere all’altezza.
  • Modellare un comportamento positivo: I genitori sono i primi modelli dei loro figli. Se il genitore mostra un atteggiamento ansioso verso la prestazione o un’eccessiva delusione per gli insuccessi, il bambino assorbirà questa prospettiva.

Enfatizzare il divertimento e il benessere: Ricordare costantemente che lo scopo primario dello sport giovanile è il divertimento, la salute fisica e mentale, e lo sviluppo di competenze trasversali. Se il divertimento viene meno, è il momento di rivalutare la situazione.

In definitiva, il compito del genitore di un giovane atleta non è quello di creare un campione a tutti i costi, ma di nutrire un individuo resiliente, equilibrato e innamorato del movimento. Permettendo al figlio di sbagliare, di perdere e di imparare, il genitore lo equipaggia con gli strumenti non solo per avere successo nello sport, ma per affrontare le sfide della vita con coraggio e un sano senso di autostima. 

La vera vittoria, in questo contesto, è la gioia che il bambino trova nel proprio percorso, indipendentemente dal punteggio finale.

 

#samanthabernardi

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