Incredibile a dirsi: sul PGA Tour si imbuca molto meno

Sembra totalmente assurdo scriverlo appena tre giorni dopo che la stagione 2022 del PGA Tour si è aperta con lo score monstre e vincente di 34 sotto al par al Sentry Tournament of Champions alle Hawaii, ma accurati studi statistici dimostrano che dal 2004 a oggi i giocatori del circuito statunitense imbucano meno. Più precisamente, in media mancano la buca il 2% delle volte in più.

 

Incredibile a dirsi, eppure, questi sono nel dettaglio i dati scioccanti:

se nel 2004 dai 4 agli 8 piedi si imbucava il 70,65% delle volte, nel 2021 queste percentuali sono scese al 68,73.

Lo stesso andamento si registra per i putt dai 10 ai 15 piedi: erano in buca il 31% delle volte nel 2004, ma solo il 30% nel 2021. In definitiva, tutte le statistiche a nostra disposizione ci raccontano la stessa storia: nonostante la tecnologia a disposizione, nonostante la maggiore conoscenza della tecnica e la migliore qualità degli strumenti a disposizione, oggi i campioni centrano la buca meno di 17 anni fa.

Perché, ovviamente, è la domanda d’obbligo: perché, nonostante tutti i settori del gioco siano straordinariamente cresciuti in termini di realizzazione, sul PGA Tour il putt va in controtendenza? Perché?

Complessa la risposta.

Prova a fornirne una Matteo Delpodio, ex giocatore di Tour e oggi apprezzata voce tecnica di GolfTv:

“In questo scenario va preso subito in considerazione questo aspetto: gli organizzatori dei tornei, per difendere i campi dai teeshot devastanti di questi campioni, non hanno difese se non quella di aumentare la difficoltà dei green.

Non c’è dubbio, quindi, che rispetto al 2004 oggi i green siano molto più veloci, con conseguente aumento delle pendenze e con una maggiore difficoltà di lettura.
Al contempo si sono cercate pin position più complicate e azzardate. Infine, non va dimenticato che negli ultimi anni molti percorsi sono stati ridisegnati soprattutto nella parte legata al green, con un  inasprimento delle ondulazioni”.

Gli stimpmeter del 1977 secondo la USGA

A confermare l’ipotesi di Delpodio, arriva niente meno che Charley Hoffman, stella del PGA Tour, che davanti a numeri che indicano come 40 anni fa gli stimpmeter dei green fossero in media intorno ai 7 mentre oggi viaggiano sui 12 (14 ad Augusta NdR), non ha potuto far altro che commentare: “e poi vi chiedete perché noi giocatori di circuito impieghiamo cinque ore per chiudere 18 buche”.

Ma l’elenco delle motivazioni che possono spiegare la decrescita delle percentuali di realizzazioni in green sul PGA Tour non finisce qui.

Non va dimenticato che da qualche anno è stato vietato l’ancoraggio del putter al corpo e che molti campioni sono andati tecnicamente in difficoltà. E ancora: non vanno neppure sottovalutati gli Strokes Gained, anzi:

“Esatto – continua Delpodio – perché proprio queste statistiche di ultimissima generazione hanno dimostrato ai giocatori come si guadagni di più (e in definitiva si vinca) più che altro migliorando il gioco lungo, e non tanto il putt, con una conseguente minore attenzione all’allenamento intorno alla buca.”

In definitiva, per tornare all’incipit dell’articolo, il 34 sotto al par realizzato domenica scorsa alle Hawaii da Cameron Smith, un punteggio record sul circuito a stelle e strisce, è figlio certamente di un tracciato reso aggredibile dalla mancanza di vento, ma anche e soprattutto da green che si sono presentati assai morbidi rispetto al solito e dunque molto meno “cattivi”.

Al contempo, come ha dichiarato un Jon Rahm autore di un meno 33, gli score del torneo in generale non fanno altro che dimostrare quanto questi ragazzi tirino la palla da tee a green in maniera assolutamente perfetta e che l’unica arma rimasta a disposizione degli organizzatori dei tornei sia la brutalità dei green.


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