Paura di Sbagliare: un avversario invisibile

Ci sono avversari che si vedono chiaramente: un volto da sfidare, uno score da battere, un traguardo da raggiungere. 

E poi c’è un avversario invisibile, che accompagna alcuni atleti: la paura di sbagliare.

In questo articolo approfondiremo cos’è questa paura, le sue cause e le strategie per affrontarla, trasformando un ostacolo in un’opportunità.

Può sembrare paradossale: l’errore è inevitabile, parte integrante di ogni percorso di crescita. Eppure, quando compare, può essere vissuto come una minaccia enorme. Non solo per il risultato, ma soprattutto per ciò che dice di noi. In quei momenti, non temiamo tanto il gesto sbagliato, quanto lo sguardo degli altri, il loro giudizio.

Lo sbaglio viene spesso percepito come un pericolo, come un fallimento che mina il valore personale. 

Questo vissuto è fortemente connesso al ruolo della vergogna (Tangney & Dearing, 2002), un’emozione che ci segnala il timore di apparire inadeguati o non all’altezza.

Quando un atleta rifiuta di accettare questa emozione, sviluppa una rigidità che porta a due conseguenze tipiche:

evitamento: ridurre al minimo le situazioni in cui si potrebbe fallire;

ipercontrollo: tentare di annullare il rischio con un perfezionismo estremo.

Entrambe le strategie, come mostrano differenti studi, aumentano la vulnerabilità alla fear of failure (paura del fallimento), che non solo limita la crescita, ma riduce le probabilità di successo nelle situazioni di alta pressione.

Da dove nasce tutto questo?

Le radici della paura

Fin da bambini siamo cresciuti con paragoni costanti: “Guarda com’è bravo lui”, “Devi impegnarti di più se vuoi essere al suo livello”. Così abbiamo imparato a misurare il nostro valore non in base ai nostri progressi, ma nel confronto con chi ci stava accanto. 

E col tempo questa abitudine si può trasformare in una vera e propria gara silenziosa, una performance continua in cui non combattiamo per un premio, ma per il nostro valore, e invece di misurarci con noi stessi e le nostre capacità, il focus diventa l’altro (Gangitano & Barbieri, 2025).

Se la prestazione diventa esclusivamente un indice di valore sociale, ogni errore viene vissuto come una minaccia alla propria identità. L’atleta non sente più di giocare per sé stesso, ma di dover costantemente dimostrare di valere davanti agli altri.

E così, se un atleta pensa che ogni errore possa farlo sembrare inadeguato, rischia di vivere la competizione come un tribunale: ogni mossa valutata, ogni sbavatura trasformata in una colpa. 

In questa gabbia, la libertà di giocare si spegne.

Accettare l’errore come risorsa

Gli atleti che riescono a fare spazio alla possibilità di sbagliare non eliminano la vergogna o l’ansia, ma imparano a conviverci. 

Questo approccio permette di ridurre la lotta interiore con l’emozione spiacevole e di orientare l’attenzione verso i valori sportivi: impegno, miglioramento e antifragilità.

Quali sono i primi passi da compiere per raggiungere questa capacità?

Per prima cosa è bene conoscere le proprie emozioni, se vuoi iniziare leggi il mio articolo: “Rompi le regole! swing le emozioni”.

Successivamente pratica un sel-tlak costruttivo in campo e nella vita, sostituendo le frasi punitive contro la tua persona e orientale al compito e al miglioramento.

Sbagliare non significa “non valere”, significa semplicemente “essere in cammino”. 

È proprio in quella caduta che si nasconde la possibilità di rialzarsi più forti.

La psicologia dello sport lo conferma: chi riesce a tollerare l’imperfezione mantiene più lucidità in gara, gestisce meglio la pressione e, soprattutto, trova nuove energie per migliorare. 

Non è l’assenza di paura che rende vincenti, ma la capacità di conviverci senza esserne schiacciati.

 

#samanthabernardi

#golfpsychology

 


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