C’è uno stereotipo secondo cui gli atleti si pensa siano tristi o delusi solo quando ottengono una prestazione non ottimale
Ti sorprenderebbe sapere che molti, dopo aver toccato l’apice, si sentono disorientati e confusi?
La competizione sportiva, che sia una gara nazionale, un evento internazionale per atleti professionisti, tra cui le Olimpiadi, è spesso il culmine di mesi o anni di allenamenti, sacrifici e sogni.
Ma cosa succede quando il fischio finale suona e il clamore si spegne?
Negli ultimi anni, l’interesse accademico per la salute mentale degli atleti d’élite è aumentato. Kuettel e Larsen (2020) definiscono la salute mentale come “uno stato dinamico di benessere in cui gli atleti possono realizzare il loro potenziale, vedere uno scopo e un significato nello sport e nella vita, sperimentare relazioni personali di fiducia, affrontare gli stressor comuni e specifici dello sport d’élite, ed essere in grado di agire autonomamente secondo i propri valori”. Secondo questa definizione, la salute mentale non è uno stato fisso ed è più che l’assenza di malattia.
All’interno di questo filone di studi, un’importante attenzione è stata recentemente data alle reazioni psicologiche negative associate al momento post Olimpiadi, che hanno portato alla creazione del termine “Post-Olympic Blues” (Bennie et al., 2019; Bradshaw, Howells, & Lucassen, 2021).
La maggior parte delle persone supera situazioni di vita stressanti senza sviluppare condizioni patologiche, ma eventi importanti, altamente stressanti, sono noti come una situazione di rischio per l’insorgenza di depressione clinica (Hagen, 2011). Nonostante tutto il glamour e la gloria che circondano le Olimpiadi, partecipare ai Giochi rappresenta una situazione unica e un potenziale fattore di stress per molti atleti (Jensen et al., 2014). Henriksen et al. (2020) hanno riportato come gli atleti nel loro inseguimento olimpico siano a maggior rischio di delusione, chiusura dell’identità e alto stress, tutti fattori che possono influire negativamente sulla loro salute mentale.
È arrivato quindi il momento di svelare cosa si cela quando il sipario cala.
Cos’è il Post-Competition Blues o Post Olympic Blues?
Il post-competition blues si riferisce al senso di vuoto, di smarrimento e tristezza che può colpire gli atleti dopo aver partecipato a una competizione importante.
È un’esperienza psicologica che può includere una perdita di motivazione, una frattura del senso identitario, e anche sintomi depressivi e ansia.
Questi sentimenti si manifestano per diverse ragioni.
Durante il percorso verso la competizione, la vita degli atleti è altamente strutturata, riempita di obiettivi, impegni e allenamenti. Molti mettendo da parte amicizie, passioni, e perfino opportunità esterne allo sport. Tuttavia, una volta terminato l’evento, si ritrovano improvvisamente senza quella struttura e pressione, con un destabilizzante vuoto da gestire.
Dopo la competizione, è naturale quindi ritrovarsi con una domanda interiore profonda: “E adesso?”
Questo stato di malessere aumenta se la percezione di sé è legata esclusivamente al risultato esterno.
Aggrava ancor di più la situazione il fatto che molti atleti si sentano in colpa per non essere sempre felici. La società ha un’immagine idealizzata del campione vincente, e questo li porta a nascondere le loro fragilità.
Michael Phelps ha raccontato: «Il 2004 è stato il mio primo assaggio di depressione post-olimpica», «ti ritrovi sull’orlo di un precipizio, del tipo “E adesso che succede? Dovrò aspettare altri quattro anni per avere la possibilità di farlo di nuovo”». Nel 2008 il nuotatore ha vissuto nuovamente la stessa esperienza, il calo di umore fisiologico quando sei costretto ad «uscire da quella fase di euforia dopo aver fatto qualcosa che ti eri prefissato da tutta la vita».
Anna-Maria Wagner judoka tedesca, dopo aver vinto due medaglie di bronzo a Tokyo 2020, ha raccontato di aver perso di colpo ogni desiderio di allenarsi: «volevo solo stare a casa, non uscivo e piangevo molto per nessun motivo».
Cassie Patten dopo le Olimpiadi di Pechino ha detto allo stesso modo di essersi «sentita persa: andavo a nuotare e mi sedevo a bordo piscina a piangere»
Di fronte a ciò cosa si può fare?
Creare una Cultura Sportiva che Riconosca e Supporti le Fragilità
Se affrontato adeguatamente, il post-competition blues può diventare un’opportunità per la crescita personale e per riorientare la propria vita. Una delle chiavi per creare una cultura sportiva sana e sostenibile è promuovere la consapevolezza su questi aspetti e abbattere il tabù attorno alla vulnerabilità psicologica. Non esiste ancora una comprensione della vera portata del problema, ed è tempo di agire.
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Servizio di Psicologia dello Sport e della Performance – Istituto Mi.Cal
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