Nel percorso sportivo di un giovane atleta, la famiglia rappresenta una risorsa fondamentale, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo. Il supporto emotivo e materiale dei genitori è spesso ciò che permette al bambino/a di iniziare e mantenere un’attività sportiva. Tuttavia, quando la partecipazione del genitore supera il confine naturale del ruolo educativo e invade lo spazio tecnico e decisionale dell’allenatore, si possono creare condizioni psicologiche che interferiscono con autonomia, autoefficacia, motivazione e identità sportiva del giovane.
Il genitore, anche con le migliori intenzioni, può diventare una figura che orienta, giudica o dirige il percorso sportivo, influenzando non solo il rapporto del figlio con lo sport, ma anche con il proprio coach e la propria autostima. La ricerca in psicologia dello sport evidenzia come un clima percepito come controllante sia associato a maggiore ansia da prestazione, ridotta iniziativa personale e minore motivazione intrinseca (Deci & Ryan, Self-Determination Theory).
Cosa significa “autonomia” nello sviluppo dell’atleta?
L’autonomia non significa lasciare il giovane “da solo”, ma permettergli di sviluppare capacità decisionali, consapevolezza di sé e senso di padronanza rispetto al proprio percorso sportivo.
Un atleta autonomo è un atleta che ad esempio: sa porsi obiettivi realistici; chiede aiuto in modo assertivo; accetta i feedback e li integra; riconosce il valore dell’errore; sviluppa resilienza e auto-regolazione emotiva
Queste competenze non nascono sotto una guida esterna costante, ma attraverso contesti in cui il ragazzo sperimenta, riflette e prende decisioni, sapendo che l’adulto di riferimento rappresenta una base sicura, non un supervisore.
Quando il genitore “diventa” l’allenatore?
Interferenze tecniche o tattiche, domande pressanti sul rendimento, critiche e suggerimenti dopo la gara, analisi costanti degli errori, confronti tra atleti o modifiche personali ai consigli del maestro possono compromettere la chiarezza dei ruoli.
Le conseguenze psicologiche più comuni nei giovani sono:
- confusione su chi seguire
- paura di deludere
- riduzione della fiducia nel coach
- minor senso di responsabilità personale
- difficoltà a sviluppare pensiero critico
Il risultato è spesso un atleta dipendente dal feedback esterno, incapace di autoregolarsi nelle situazioni di stress competitivo.
Assumere un ruolo differente è fondamentale, ma quale ruolo?
Il genitore deve essere un facilitatore.
Secondo i modelli educativi orientati alla crescita personale, il genitore dovrebbe rappresentare un clima di supporto e non di controllo. Ciò significa:
- offrire sostegno emotivo e logistico
- rispettare il ruolo tecnico dell’allenatore
- promuovere il dialogo, non l’imposizione
- valorizzare impegno, non risultato
- aiutare a interpretare l’errore come opportunità
Un buon genitore nello sport non è colui che guida il figlio verso la performance perfetta, ma chi sostiene la crescita della persona che il figlio sta diventando.
L’obiettivo non è formare atleti obbedienti, ma crescere atleti capaci di pensare, scegliere, decidere e adattarsi, non solo di eseguire.
Proprio per questo ti lascio la mia “STOP LIST” di attenzioni da evitare.
- Commenti tecnici
- Pressione sui risultati o paragoni con altri
- Critiche post-gara o analisi minuziose
- Ricompense legate ai risultati (soldi, premi, attenzioni extra)
E tu sei un genitore allenatore o facilitatore?
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